Educare con la musica, non alla musica è uno slogan sbandierato (magari con delle varianti che non ne alterano però il senso) in molti testi dedicati ai temi dell’educazione musicale, anche scolastica. Ricorre spesso, e non importa menzionarne qui i vessilliferi (una «Goccia» non basterebbe: ci vorrebbe un’intera caraffa).
Che la musica sia un mezzo formativo potente è indubbio. Non è dunque in discussione la prima metà della formula. Lo è la seconda, e così la formula tutta, con la sua contrapposizione e l’idea sottostante d’un sapere disciplinare a conti fatti secondario.
La scuola, si sa, ha una doppia funzione: formativa e trasmissiva; ma persegue la prima attraverso la seconda. Con le loro peculiarità, le varie discipline concorrono alla formazione della persona: nessuno su questa base negherebbe il valore degli obiettivi disciplinari, ad esempio nella matematica o nelle scienze. Perché nell’educazione musicale questo criterio vacilla, perfino tra coloro che per ruolo ne dovrebbero sostenere il fondamento?
Avanzo tre ipotesi, interconnesse. (1) Sull’educazione musicale continua a gravare lo spettro del solfeggio, un esercizio teorico peraltro utilissimo se ben fatto, ma sterile e astratto se fatto male (e càpita spesso); in realtà il sapere musicale non s’esaurisce certo nel solfeggio, ma l’equivoco resta. (2) Manca nella società italiana una robusta tradizione di cultura musicale diffusa, e il riconoscimento del suo valore. (3) Solo dagli anni ’60 la musica è entrata nel curricolo scolastico ordinario; ma con un monte ore irrisorio e limitatamente alla scuola primaria e secondaria di primo grado: e se in quest’ultima gl’insegnanti d’educazione musicale provengono da percorsi specifici, i docenti della scuola primaria devono perlopiù accontentarsi del poco di musica che hanno appreso a scuola tra i 6 e i 14 anni e, un lustro più tardi, all’università.
Questi tre fattori convergono in un esito micidiale: pregiudizio, scarsa dimestichezza e marginalità disciplinare si puntellano a vicenda.
Educare con la musica, non alla musica s’offre allora come facile ripiego. Il sapere disciplinare, questo sconosciuto, è rimosso. Eppure proprio la sua centralità garantirebbe un più generale successo formativo. Gl’insegnanti se ne mostrano spesso consapevoli. Ma avvertono di non avere strumenti sufficienti e cercano percorsi dove trovarli. Il gioco passa dunque nelle mani di chi li forma in itinere: a costoro è demandata la responsabilità di porre il sapere musicale al centro della propria azione, senza cedimenti al ribasso e senza scappatoie.
Paolo Somigli
Ricercatore, Libera Università di Bolzano
Docente di Didattica della musica