Carl Dahlhaus e Franco Alberto Gallo alcuni anni fa hanno attirato l’attenzione su due concetti fondamentali nella storiografia musicale: opera ed evento. Dahlhaus colloca al centro della storia della musica l’‘opera’ (opus, Werk), non già l’‘evento’, che pertiene piuttosto alla storia politica o civile. Gallo perora la causa del concetto di ‘evento’ nella musica medievale e rinascimentale, concepita non solo come insieme di ‘opere’ bensì di ‘prassi sociali’.
I due assunti, a prima vista antitetici, necessitano una spiegazione. La tesi di Dahlhaus (l’oggetto primario della storia della musica è l’opera d’arte) e quella di Gallo (l’oggetto primario della storia della musica è l’evento sonoro) rispondono infatti a intenti polemici specifici, e vanno dunque relativizzate. Bersaglio implicito di Dahlhaus è il «rifiuto della storia» che montava nelle cerchie intellettuali degli USA e dell’Europa negli anni attorno al ’68 e che andava di pari passo col rifiuto dell’«arte borghese»: l’opera d’arte musicale, in quanto oggetto intrinsecamente storico ed eminentemente estetico, risultava quanto mai vulnerabile all’attacco nihilistico di questa polemica generazionale; la difesa a oltranza da parte di Dahlhaus della «storia dell’arte musicale» come «storia di opere d’arte musicali» rispondeva a un’esigenza di ‘salvaguardia’ dell’atto creativo come prodotto del pensiero intellettuale. Bersaglio implicito di Gallo è invece la concezione della storia della musica di matrice idealistica (come storia di capolavori artistici) che, durata molto a lungo, soprattutto in àmbito accademico, ha oggettivamente declassato il medioevo al rango di un prodromo.
In una situazione didattica la questione appare rilevante e non si lascia tradurre in una scelta drastica: opera o evento. Nessuno dei due approcci esaurisce infatti lo spettro delle possibilità, e delle domande, che la storia della musica offre: chi rivolge il proprio sguardo al passato, incontra sia opere d’arte musicali, con la loro insopprimibile componente estetica, sia eventi musicali, consegnati a una documentazione che va ricostruita e contestualizzata: e ciò vale per ogni epoca, per ogni cultura. Si tratta dunque di un rapporto dialettico, che impone di contemplare e contemperare entrambi i concetti, in una relazione di volta in volta mutevole, che non esclude una loro sovrapposizione. Un esempio: nel mottetto «Nuper rosarum flores», composto da Guillaume Dufay per la cerimonia di consacrazione del nuovo Duomo di Firenze officiata da papa Eugenio IV nel 1436, convivono sia i tratti dell’eccezionale evento sonoro che condecorò l’inaugurazione della magnifica cupola del Brunelleschi, sia i caratteri di una composizione che per peculiarità stilistiche e formali incise sull’evoluzione del linguaggio mottettistico coevo. Il docente che affrontasse il mottetto di Dufay dalla sola prospettiva socio-culturale (come ‘evento’) e non anche da quella critico-stilistica (in quanto ‘opera’) inibirebbe ai propri discenti un percorso di comprensione musicale pieno e compiuto.
Negli anni passati l’argomentazione di Gallo è stata spesso strumentalizzata da chi, in sede didattica, ha voluto eludere lo studio e l’analisi delle opere musicali. In pratica, si è tentato di superare le difficoltà insite nell’approccio al testo musicale riferendosi esclusivamente al contesto di produzione. Come se si potesse costruire la conoscenza ignorando l’aspetto tecnico e magari filologico dell’opera, e fondare un’ermeneutica sul solo contesto. Per la comprensione musicale giova dunque ricomporre sempre la dialettica, necessaria, tra ‘evento’ e ‘opera’.
Maria Rosa De Luca
Ricercatore
Università degli Studi di Catania