Un’immagine della contemporaneità non cessa mai di essere espressione anche del passato. A questo proposito, Walter Benjamin sostiene che “ogni presente è determinato da quelle immagini che gli sono sincrone”. E, a dar seguito al filosofo tedesco, il passato e il presente non vivono in un rapporto dialettico temporale: un’immagine attuale “è ciò in cui quel che è stato si unisce fulmineamente con l’adesso in una costellazione”.
Se intendiamo il termine immagine in senso lato, si può allora affermare che una forma di anacronismo è entrata nella costellazione del rapporto uomo-computer; vale a dire, un’interazione della contemporaneità che, ben al di là della protesi, rappresenta una vera e propria rivoluzione per l’uomo. Una proiezione del passato nel presente può essere rinvenuta nell’agiografia di un martire cristiano: san Dionigi. Come racconta Jacopo da Varazze nella Leggenda aurea, Dionigi – greco di origine, convertito alla fede di Cristo da san Paolo –, raggiunta Roma per cercare Pietro e Paolo (già ascesi al cielo), viene inviato, da papa Clemente, in Francia insieme ai compagni Rustico ed Eleuterio. A Parigi la sua attivissima azione di cristianizzazione è ben presto contrastata dall’imperatore Domiziano, che manda i suoi delegati per ucciderlo. Dionigi, con i suoi due seguaci, viene catturato; dapprima è dato in pasto alle belve, poi messo in una fornace, e poi ancora crocifisso e a lungo torturato, riuscendo sempre a uscirne miracolosamente indenne. Fino a quando ai tre discepoli – in un luogo detto Monte dei Martiri (Montmartre) – viene mozzata la testa con la scure. Ma anche questa volta il miracolo incredibilmente si avvera: il corpo di Dionigi si rialza, prende nelle mani la sua testa e sotto la guida di un angelo, preceduto dalla luce divina, cammina per circa due miglia fino al luogo dove ancora oggi riposa in pace: l’attuale basilica di Saint-Denis, alle porte di Parigi.
Ma perché una leggenda antica, come questa, entra in stretta risonanza con il computer? Perché con il computer siamo diventati tutti come san Dionigi. La testa intelligente fuoriesce dalla testa corporea: è la scatola-computer a mettere in funzione quelle che un tempo venivano chiamate le “facoltà”; essa dispone, infatti, di una memoria almeno mille volte più potente della nostra, di una riserva di dati ricca di milioni di immagini e di un numero infinito di brani musicali. Come scrive il filosofo Michel Serres: “La nostra testa è gettata davanti a noi, in questa scatola cognitiva oggettivata”. E, soprattutto, la testa delle giovani generazioni non deve più faticare per acquisire il sapere: è tutto lì, davanti a loro, sempre connesso e accessibile, staccato dal corpo come la testa di Dionigi. L’agiografia di un santo, insomma, può prefigurare l’immagine concreta del funzionamento del computer, che, senza dubbio, rappresenta una rivoluzione paragonabile a quella della scrittura e della stampa.
Ma come possono i nativi digitali “avviare” la testa elettronica? Sono obbligati – sostiene sempre Serres – a mettere in atto la “creatività”; si potrebbe dire, quel bagliore che nel quadro di Joseph Florentin Léon Bonnat s’irradia dal collo decapitato del martire. La creatività, però, si sprigiona solo se ben istruita. E, dunque, anche davanti a una rivoluzione epocale come quella digitale, il ruolo formativo dell’Università e della Scuola non deve, e soprattutto non può perdere nessuna sua fondamentale vocazione.
Lucia Corrain
Professore associato di Semiotica dell’arte
Università di Bologna