In un saggio intitolato Dire la danse? Véronique Fabbri afferma: “Certes, le beau rend muet, mais il rend muet d’abord. Car, ensuite, il s’agit d’inventer un discours qui réponde aux exigences de l’esprit en tant qu’on ne peut le disjoindre de la sensibilité” (V. Fabbri, Dire la danse? Poétique et analytique de la danse, in P. Gioffredi (a cura di), A la’rencontre de la danse contemporaine, porosités et résistances, Paris, L’Harmattan, 2009, pp. 135-153: p. 146).
Le difficoltà che si possono incontrare nel tentativo di “dire la danza” non sono dovute alla presunta incapacità, da parte del linguaggio, di dire le emozioni o le esperienze profonde, di cui quelle suscitate dall’arte sono solo una parte; proprio queste difficoltà ci chiamano, anzi, a trovare e, dove necessario, a inventare un discorso pertinente e preciso, che superi le carenze del discorso filosofico ed estetico intorno alla danza.
Durante le prime lezioni del corso di Storia della danza che tengo presso l’Università di Bologna cerco solitamente di mettere in campo il vocabolario specifico a cui ricorrerò negli incontri successivi, poiché occorre, parlando di danza, usare una terminologia specifica, che all’ambito della danza appartenga. Propongo quindi un breve elenco che, andando da balletto a videodanza, può comprendere parole-chiave, come coreografia, coreologia, coreosofia, o aggettivi connotanti, come coreico e coreutico: etichette che, se possono essere giudicate come limitanti e riduttive, si rivelano tuttavia fondamentali nel rendere possibile un dialogo.
È comprensibile che questo vocabolario non sia del tutto noto agli studenti che si affacciano a un percorso di studio universitario, meno comprensibile è che ancora oggi manchi una completa e consapevole condivisione di tale vocabolario da parte degli studiosi, come in effetti accade. Così, è particolarmente apprezzabile la volontà chiarificatrice di Alessandro Pontremoli che, in una avvertenza posta in apertura del suo La danza. Storia, teoria, estetica nel Novecento (Roma-Bari, Editori Laterza, 2004), precisa il significato di alcuni termini utili a proseguire la lettura, in particolare distinguendo tra coreutico, inteso come ciò che riguarda il danzatore, e coreico, che indica invece “ciò che è relativo alla danza”. Interessante è rilevare come quest’ultimo, pur suonando insolito, sia oggi sempre più utilizzato proprio con la connotazione indicata da Pontremoli.
La riflessione intorno a una disciplina chiede una chiarezza terminologica salda, o, quando necessario, una salda ridefinizione della specifica terminologia che le è propria. Occorre quindi che chi si occupa professionalmente di studi sulla danza assuma su di sé la responsabilità di parlarne e di scriverne attraverso un discorso che, seppure continuamente riformulabile, deve riuscire a trovare una comprensibilità condivisa, e dalla condivisione deve essere nutrito.
Elena Cervellati
Professore associato di Storia della Danza e delle Arti del movimento
Dipartimento delle Arti – Università di Bologna