Il critico cinematografico statunitense Sean Patrick Means ha compilato una lista di colleghi rimasti senza lavoro fra il 2008 e il 2010. L’elenco, ospitato sul blog del «Salt Lake Tribune» in una rubrica intitolata sarcasticamente The departed, è arrivato a contare 65 testate locali che hanno licenziato il critico cinematografico titolare senza provvedere a una sostituzione. Da parte sua Roger Ebert, critico del «Chicago Sun-Times» e vincitore del Pulitzer nel 1975, ha invece definito la nostra epoca la ‘golden age for film criticism’, sostenendo che, grazie alle possibilità offerte dal web, non è mai stato così facile manifestare le proprie opinioni e imbattersi in altre più interessanti.
Trovare un punto di mediazione tra entusiasmo e sconforto, in questo caso, è tutto sommato poco utile: mentre i critici professionisti diminuiscono, come rileva Means, la quantità e la varietà di opinioni accessibili, sotto forma di recensioni, aumentano, come sostiene Ebert, e orientano i lettori nella scelta di prodotti o di servizi. Il fenomeno riguarda il cinema, ma non solo. Come mostra una semplice ricerca su Google, in rete si reperiscono recensioni su qualsiasi aspetto dell’esperienza sociale e culturale contemporanea. Gli utenti attribuiscono “stellette” ad automobili, funzioni religiose, concerti, libri, bevande, ristoranti e alberghi. In questi esempi di recensione online la relazione che informava il vecchio modo di intendere la critica sembra rovesciata. Il critico tradizionale era legittimato dall’istituzione per la quale operava e dalla quale riceveva un compenso; adesso, invece, è l’utente – che paga per fruire di un servizio o un’esperienza – ad avvertire come fondata la propria presa di posizione critica. Questo forse spiega l’estrema puntigliosità di molte recensioni di lezioni universitarie compilate dagli studenti nordamericani su ratemyprofessor.com
Questo fenomeno non può essere nemmeno liquidato come il trionfo della libertà di espressione contro ogni agenzia di mediazione e ogni gerarchia del sapere. La funzione e i luoghi della critica non si ridefiniscono attraverso un processo lineare, ma per mezzo di strappi e resistenze, possibilità inedite e conservazione di vecchi atteggiamenti e perfino di tic: lo dimostrano, pur nella diversità delle opinioni esposte, le relazioni tenute in occasione dei due convegni internazionali sulla critica ospitate dal Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna nel 2013 e nel 2014 (http://archivi.dar.unibo.it/index.php/archivi-video/conferenze/). Lo stesso Means, d’altra parte, non ha sospeso The departed perché i decessi metaforici fossero cessati, bensì “because the breed isn’t dying but adapting”. Chi si occupa di formazione nel campo dei media, quindi, deve assumersi anche il compito di favorire il rafforzamento di strumenti utili in questo processo di adattamento.
Paolo Noto
Ricercatore a tempo determinato
Dipartimento delle Arti – Università di Bologna