Le potenzialità offerte dal web e dalle nuove tecnologie riguardo all’ascolto musicale sono enormi, e inevitabili le ricadute sul modo stesso di ascoltare. Sappiamo che i brani musicali sono oggi disponibili sotto forma di files (in formato .mp3 e simili), di cui conosciamo in partenza la durata e di cui possiamo disporre a piacimento, ad esempio puntando il cursore nella linea del tempo e sentire frammenti selezionati, più o meno estesi (ad esempio, l’acuto finale di un’aria, o gli ultimi sette minuti della Terza di Mahler), e magari risentirli fino alla sazietà (in loop, a scopo di puro godimento sensuale-culinario, ovvero di graduale focalizzazione). Con applicazioni tipo Audacity possiamo anche ritagliarci quei frammenti, elaborarli, allinearli ad altri simili o contrastanti, per uso didattico, o di ricerca, o magari solo a scopo di condivisione. Sul sito Youtube, ad esempio, si possono trovare files video o audio relativi a tante versioni diverse di uno stesso acuto; per i melomani è una pacchia, ma anche chi studia il canto operistico, in senso tecnico o storico, può trarne enormi vantaggi.
Beninteso, nel caso in cui la parcellizzazione non abbia un chiaro intento didattico o di studio, si pone il problema dell’“integrità” dell’ascolto musicale, quindi dell’opus inteso come discorso musicale organizzato in un insieme coerente, nel quale le singole parti rispondono a un tutto. Tanto più se consideriamo che un’altra delle caratteristiche dell’ascolto musicale tecnologicamente mediato sembra essere il surfing (Alessandro Baricco), ossia lo scorrere veloce, senza approfondire, da un brano all’altro. È la logica di Youtube e delle altre applicazioni ad esso simili o correlate (ad esempio i social networks come Facebook). Nell’atto stesso in cui cerco e ascolto un brano, si aprono a tendina decine di altri ascolti più o meno simili – per autore, per interprete, per genere (e accanto a qualche video di Beethoven o di Barenboim può apparire perfino l’ultima partita di campionato della squadra del cuore, a seconda degli interessi dell’utente). La tentazione di saltabeccare, di assaggiare, di puntare il cursore qua e là nei brani è spesso irresistibile (calcio a parte). Dunque: la quantità a scapito della qualità? la brevità a scapito dell’estensione? l’enorme disponibilità d’accesso a scapito dell’approfondimento, l’«ammasso» a scapito della «cernita» (Lorenzo Bianconi)? Non sarà che le moderne tecnologie cambiano (in negativo) l’approccio stesso alla musica, all’ascolto musicale? e che proprio l’illimitata possibilità di accesso ci si ritorca addirittura contro e generi un’“invasione” del molteplice, una sorta di horror pleni (Michele Cavallo)?
Forse sta proprio ai più esperti raccogliere la sfida delle moderne tecnologie e piegarle a proprio e altrui vantaggio. I social networks possono diventare una proficua palestra di discussione, di confronto, di analisi. Dunque sarebbe sì auspicabile che l’ascolto 2.0 fosse «il prolungamento dell’esperienza e non l’esperienza stessa» (Andrea Chegai), ma è pur vero che esso, grazie alla possibilità di condivisione, non solo può portare a scoperte interessanti, ma anche innescare un’esperienza più piena e completa (di un brano, di un autore, di un genere), o magari accendere semplicemente un interesse nel profano.
Accenno in breve a un’esperienza iniziata su Facebook nel febbraio 2012. Un gruppo dal nome altisonante, «Musica Anima Mundi» (https://www.facebook.com/groups/125688470879709), che «ha lo scopo di segnalare, diffondere, discutere la musica d’arte del passato, nella consapevolezza che questa sia una miniera di tesori da conoscere, riscoprire, apprezzare e valorizzare». Ne fanno parte esperti e meno esperti, Kenner und Liebhaber, direbbero i tedeschi. Lo scopo è proporre ascolti mirati, ma anche discuterne, tra il serio e il faceto (come è ammissibile che sia in un social network). A volte si segnalano solo dei passaggi in un brano, a volte si condensa in una frase didascalica il carattere o la fattura o l’essenza del brano proposto, o la ragione del post (ad esempio una ricorrenza o anniversario). L’intento non è il mero accumulo, anche se inevitabilmente il repertorio di ascolti aumenta man mano, o il godimento in sé, ma anche la circolazione proficua delle idee sulle musiche proposte, che spesso accrescono il godimento stesso. Tutto scorre abbastanza velocemente, ma nulla si perde: il social network funge anche da archivio storico delle esperienze d’ascolto (listening experiences), che si può consultare e interrogare attraverso chiavi di ricerca (con l’apposita funzione “cerca”).
Le chiavi di lettura si rendono poi tanto più necessarie quanto più aumenta la durata del brano. E si sono rivelate molto utili anche le video-partiture (scrolling scores), nelle quali l’ascolto procede in sincrono con lo scorrere delle pagine musicali, ben visibili sul monitor: procedura utile sia all’esperto per cogliere i particolari, sia all’appassionato per familiarizzare con la rappresentazione spaziale della musica (un esempio, completo di indicazioni analitiche: https://www.youtube.com/watch?v=5IcEimiqUsk). E che dire della possibilità di “vedere” la musica non solo come segno scritto, ma anche seguendo, spesso da prospettive ravvicinate e pressoché inaccessibili per lo spettatore a teatro o in sala da concerto, la gestualità degli esecutori? La possibilità di confrontare ad esempio il modo di suonare di Michelangeli e quello di Lang Lang, il modo di dirigere di Bernstein e quello di Celibidache, ma anche le diverse messe in scena di un’opera lirica, che offrono moltissimi spunti di riflessione e godimento.
Dunque, in soldoni: è vero che il mezzo in sé cambia il nostro rapporto con la musica ascoltata, il quale rischia di diventare più superficiale e atomizzato. Ma è vero altresì che si può sfruttare il mezzo per diffondere, conoscere, approfondire, analizzare e apprezzare (di più) la musica d’arte, grazie alla discussione e alla compartecipazione, seppure virtuale.
Giorgio Pagannone e il gruppo Musica Anima Mundi
[Pagannone è Ricercatore e Docente di Storia della musica
nell’Università di Chieti-Pescara]