La promozione della cultura musicale pone molti interrogativi ai suoi fautori. I dubbi riguardano principalmente strategie e modi di agire: che spazio deve avere l’ascolto? come proporlo? che ruolo assegnare alla parola? come gestire l’alternanza musica/discorso?
Sono domande che astraggono dagli obiettivi del singolo intervento e competono ad un livello precedente di riflessione. Vertono sui presupposti, sulle condizioni di un’azione e sulle attese conoscitive di un pubblico. Pongono su un piano operativo la questione del rapporto interno alla cultura musicale tra il fare e il sapere, tra le categorie della produzione e della ricerca. Categorie che il senso comune associa a situazioni-tipo molto diverse come un concerto e una conferenza, dove l’ascoltatore viene posto di fronte al dominio incontrastato di un oggetto sonoro o di un discorso.
Nel concerto l’esibizione dell’oggetto implica la piena fiducia nella capacità di comprendere il discorso della musica. Nella conferenza una costruzione metalinguistica confida nella capacità di immaginarlo.
In quest’ottimistica visione c’è sempre qualcosa che non torna. Il discorso della musica può giungere inarticolato e noioso all’orecchio, se la forza del suo dire non trova nell’ascoltatore la giusta accordatura. Il discorso sulla musica, che è spesso un discorso senza musica, può spingere il fantasma dell’oggetto sempre più lontano, a mano a mano che i costrutti delle parole, nel tentativo di vicariarlo, perdono la loro inerenza.
La comprensione della musica soffre di quest’incongruenza che mortifica colui che subisce un concerto o dissuade il potenziale ascoltatore da futuri incontri con la musica. Come superare questa impasse? Come promuovere senza scoraggiare?
Avvicinare o respingere. Obiettivo e rischio si misurano sul fil di lana del delicato rapporto tra fare e sapere; sulla capacità di tessere un legame tra una musica che suona e i discorsi ad essa inerenti.
La condizione cruciale può essere individuata nel contatto diretto con la musica. Altra cosa è la fruizione di un documento sonoro dall’essere parte di una materia vibrante, dall’assorbire gli impulsi fisico-acustici di una fonte sonora, dal rispecchiare sul proprio corpo l’a-tu-per-tu col gesto dell’esecutore.
Questa partecipazione all’azione musicale che unisce corpo sonoro-esecutore-ascoltatore apre il soggetto alle proprietà dell’oggetto. Provoca un andare a tempo con l’opera musicale in un palleggio continuo di stimoli e reazioni. Lanciare e ricevere. L’opera mostra se stessa agli ‘occhi’ del soggetto. Il soggetto fissa e rielabora le ‘immagini’ dell’opera. Il buon ritmo è garantito se colui che riceve ha appreso che in quella musica ‘lanciata’ vi è una struttura; che le parti di quell’insieme preordinato sono espressione di un individuo e insieme documento di un momento storico.
Il gioco funziona quanto più coinvolge i due discorsi. Produzione e ricerca sono chiamate a dialogare in questa koinè, a misurarsi in quest’agone virtuoso, dove le parole sfidano il significato che si addensa nelle articolazioni musicali, mentre la musica, vittoriosa, conquista nuovi spazi per l’ascolto.
Monica Boni
Docente di Storia della Musica e Bibliotecario
Istituto Superiore di Studi Musicali di Reggio Emilia e Castelnovo ne’ Monti