La musica non esiste. Se questa allarmante proposizione fosse vera, perché saremmo riuniti qui? Eppure la proposizione è vera. Mi spiego.
Qualche anno fa, in un saggetto intitolato La musica al plurale, ridussi in pillole un assunto elementare espresso da Carl Dahlhaus. Volevo disseminare presso chi non avesse avuto in mano il libriccino da lui scritto con Hans Heinrich Eggebrecht, Che cos’è la musica?, qualche ragionevole dubbio circa l’idea che abbia un senso parlare di ‘musica’ en bloc, al singolare. In particolare mi stava a cuore questa tesi: ammettere l’esistenza di una musica d’arte non significa svalutare o sminuire altre legittime forme di produzione e consumo musicale, bensì riconoscere l’irriducibile pluralità delle tante manifestazioni del fenomeno ‘musica’. Con un corollario decisivo: tale pluralità non giustifica il relativismo di chi equipara ogni e qualsiasi forma di musica; annullare le differenze non produce eguaglianza, suscita soltanto indistinzione e caos. Mi premeva corroborare un obiettivo che il SagGEM ha poi fatto proprio: nell’educazione musicale la musica d’arte non può mancare (senza pregiudizio di altri generi e tradizioni musicali).
Se però nella sua multiforme varietà la musica esiste soltanto al plurale, ne consegue che le proposizioni che abbiano per tema ‘la musica’ tout court sono prive di senso. Asserti del tipo ‘la musica promuove l’esperienza emotiva’, ‘la musica stimola le facoltà cognitive’, ‘la musica coltiva il senso del bello’, ‘la musica coordina la dimensione corporea con quella intellettiva’, ‘la musica favorisce la socializzazione’, ‘la musica alimenta la prospettiva culturale e quella interculturale’ e via dicendo non sono falsificabili (nel senso di Karl Popper), in quanto, nella loro disarmante genericità, non si lasciano smentire. Se la proposizione ha per tema natura, struttura, facoltà, funzioni, qualità dell’arte musicale, il soggetto grammaticale esige necessariamente una specificazione. Se parlo di musica, devo dire a quale genere mi riferisco: genere in grande (musica da camera, lirica, pop, jazz, ecc.) e genere in piccolo (sonata, sinfonia, madrigale, cantata, ecc.). Devo dire quale opera intendo: il quarto tempo della Sinfonia fantastica e il Larghetto del K 581 suscitano risposte emotive e intellettuali incommensurabili. Devo dire a quali circostanze dell’esecuzione e a quali modalità d’ascolto alludo: è la questione, capitale, trattata da Antonio Serravezza nel memorabile saggio su esteticità concentrata ed esteticità diffusa. Si può bensì parlare della musica en bloc nei raffronti idealtipici, ossia comparando in termini generali le potenzialità dell’arte musicale con quelle della scienza, o della poesia, o della pittura eccetera. Ma fateci caso: nessun pedagogista, nessun didatta direbbe mai che la pittura (in quanto pittura, globalmente intesa) promuove, stimola, favorisce, coltiva, coordina eccetera.
Malfidatevi dunque di sentenze del tipo ‘la musica fa, dice, provoca…’ (i libri di pedagogia musicale ne traboccano). Un suggerimento per la profilassi: se mai vi capitasse di concepire o di scrivere un incipit del tipo “La musica…”, fermatevi e chiedetevi subito quale musica, quale opera, quale contesto, quale funzione avete in mente. Magari voi pensate al Ricercare dell’Offerta musicale orchestrato da Webern, ma chi vi legge potrebbe capire Roma nun fa’ la stupida stasera, tanto per restare al Novecento (e già sarebbe un lusso).
Lorenzo Bianconi
Professore emerito
Dipartimento delle Arti – Università di Bologna