John Cage, appassionato di micologia oltre che di creatività sonora, con una battuta fulminante sosteneva che «di funghi si può morire, di musica no». Negli ultimi mesi anche questa convinzione lapalissiana ha dovuto fare i conti con la pandemia. Alla fine dello scorso maggio dagli Stati Uniti si è diffusa la notizia di un corista malato di Covid che in una località nei pressi di Seattle avrebbe contagiato oltre l’80% dei membri di un coro parrocchiale, con esiti letali non trascurabili. Un gruppo di epidemiologi della contea ha ipotizzato che all’origine del grave contagio potesse esserci, oltre all’assembramento in luogo chiuso, l’atto stesso del cantare. Anche noti specialisti italiani, pur in attesa di ulteriori conferme, hanno evidenziato la potenziale pericolosità di tale situazione.
Così ci troviamo dinanzi a un inatteso ribaltamento delle qualità terapeutiche tradizionalmente riconosciute alla musica. Al proverbiale «Canta che ti passa» si è sostituito un minaccioso «Se canti in compagnia puoi contagiare gli altri o essere contagiato». Se non è la musica a uccidere, come il veleno presente in certi funghi, è comunque l’attività sociale del canto che, qualora praticata al chiuso e senza distanziamento interpersonale, parrebbe favorire una maggiore emissione delle minuscole goccioline portatrici del virus.
Davanti al mutato scenario, in un clima a quanto pare di diffusa disattenzione, sembra che spetti alla Conferenza Episcopale Italiana il merito di aver rivolto il 29 giugno 2020 una prima domanda sulle sorti del canto corale al Comitato tecnico scientifico istituito la scorsa primavera a supporto della Protezione Civile: «Posta l’urgenza di tornare ad ammettere la figura dei cantori nelle celebrazioni liturgiche, a quali condizioni è proponibile questa ipotesi e con quali precauzioni?». La risposta è giunta il 10 agosto: cori e cantori, sulla base di aggiornati indici epidemiologici, possono essere reintrodotti, ma a condizione che mantengano «una distanza interpersonale laterale di almeno 1 metro e almeno 2 metri tra le eventuali file del coro e dagli altri soggetti presenti».
Ma come comportarsi nelle scuole? Il problema è tornato d’attualità tra agosto e settembre, alla vigilia della ripresa delle lezioni in presenza. In alcuni servizi trasmessi da telegiornali si è perfino sentito dire che, tra le attività sospese per motivi di sicurezza, rientrerebbe il canto. Non è proprio così: in un documento non più recentissimo (28 maggio) ma tuttora in vigore, il Cts ha stabilito che «la mascherina chirurgica può essere rimossa in condizione di staticità con il rispetto della distanza di almeno un metro» in assenza però «di situazioni che prevedano la possibilità di aerosolizzazione (es. canto)». Ne deduciamo che non è il canto a essere proibito, quanto la rimozione della mascherina mentre si canta, mascherina cui d’altra parte non si fa alcun cenno nella risposta data alla CEI. Non si poteva sollevare in anticipo il problema e chiedere chiarimenti con maggior tempestività?
Marco Bizzarini
Professore ordinario di Musicologia
Università degli Studi di Napoli “Federico II” – Dipartimento di Studi umanistici