Ogni anno il corso di Chimica Inorganica è diverso. Diverso il programma? No, quello non così tanto. Diverso il gruppo di studenti. Diversi i visi, le voci. Ma soprattutto diverse le domande. Le curiosità, le passioni.
«Tu che sei un chimico…», quante volte mi sono sentita dire queste parole da qualche amico o parente (e se non rispondi subito che chimico sei?). Con gli studenti è diverso. Ogni domanda è una sorpresa, un’opportunità. Può nascere dall’argomento della lezione, da un commento buttato lì quasi senza pensare, da una reazione scritta sulla lavagna o sullo schermo insieme a tante altre. «Perché il sale rosa ha quel colore? Le zeoliti di cui ci ha parlato… mi interesserebbe approfondire, ma non riesco a scegliere, il web è troppo vasto!». Può nascere dal desiderio di cambiare il mondo, di intervenire sul futuro. «Prof., in quali modi si può catturare l’anidride carbonica che sta riscaldando troppo il pianeta? Come può il ghiaccio intrappolare il metano sotto il mare?» E poi i filmati su YouTube: «Ho visto che si può ripulire l’argento con acqua calda e un foglio di alluminio e sì, anche succo di limone, ma perché? quali reazioni avvengono?». O esperienze quotidiane: «Perché una candela accesa fa luce e annerisce gli oggetti? Qual è la differenza tra uno schermo a cristalli liquidi e uno al plasma?».
Le domande arrivano durante la lezione, nell’intervallo, al termine, la sera per e-mail. Timidamente, in alcuni casi, cominciano con un «ho letto, ho sentito, mi han detto». «Ragazzi, ve lo spiego alla prossima lezione» e vado alla ricerca delle fonti, dei lavori originali; non sempre un testo è sufficiente, e non sempre la risposta, quando esiste, è una sola. A lezione la spiegazione è per tutti, e comprende il processo attraverso il quale sono arrivata a quella risposta. Fornisco loro materiale: articoli, link a siti web e a filmati, pagine tratte da libri. La spiegazione può non essere completa, non si conosce ancora abbastanza di quell’argomento, o esistono opinioni e prove contrastanti. Gli studenti preferiscono certezze, si sa, ma la chimica non è una scienza esatta. Si basa su esperimenti, che generano ipotesi e quindi ancora esperimenti. Li stimolo a non fermarsi mai alla prima impressione, al primo risultato.
Di recente ho posto io una domanda: «Chi mi sa dire a quale temperatura fonde il francio?» (Un elemento radioattivo di cui si conosce ben poco). Li ho guardati mentre facevano a gara a trovare per primi la risposta in Google. La risposta è stata unanime: 27 gradi Celsius. Allora ho mostrato loro un paio di testi specialistici dai quali la risposta era assente, due siti web di società chimiche che fornivano numeri differenti, infine un articolo scientifico in cui la risposta era ancora diversa, ed era frutto di un esperimento, sì, ma computazionale. Cari studenti, quella temperatura non si può misurare, perché non è possibile ottenere l’elemento in quantità sufficiente…
Ogni domanda fornisce un ottimo pretesto per stimolare la curiosità, il dubbio, il piacere di ricercare le fonti, di non fermarsi alla prima risposta o alla prima interpretazione. Perché se ogni domanda genera almeno una risposta, ogni risposta genera almeno una nuova domanda, in un continuo processo di studio e di crescita personale che – almeno nelle nostre intenzioni! – trasformerà gli studenti dell’anno in corso negli scienziati e nelle scienziate di domani.
Fabrizia Grepioni
Professoressa ordinaria di Chimica inorganica
Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician” – Università di Bologna