Per introdurre la sua opera di metodologia della ricerca storica (Apologia della storia o Mestiere di storico) Marc Bloch ricorse all’espediente di un bambino che chiedeva al padre a cosa servisse la storia. È un interrogativo che qualsiasi studente si pone nel momento in cui affronta la lettura di un manuale di storia. Un volume che, giunto all’università, ha già incontrato – con vari adattamenti – più volte durante il percorso di studi precedente e che, spesso, ha depositato scarsi sedimenti. Questo ulteriore ricorso al manuale riveste dunque la funzione di fornire le coordinate spaziali e temporali del nostro passato, ma deve renderci consapevoli che le questioni del presente che ci inducono a interrogare il passato richiedono il ricorso a un’affidabile metodologia. Se l’uomo e le sue azioni costituiscono l’oggetto della ricerca storica, per superare il muro del tempo che ci separa dagli uomini e dalle donne del passato dobbiamo ricostruire preliminarmente l’outillage mental (l’‘attrezzatura mentale’) di quel periodo per valutare il valore e il significato di quella certa azione o espressione.
Come parte delle agenzie che concorrono all’educazione e alla crescita culturale delle nuove generazioni, lo storico che oggi si pone davanti ai propri studenti è consapevole che i percorsi di auto-istruzione, favoriti dall’evoluzione tecnologica e informatica, non consentono di operare generalizzazioni sugli standard culturali degli studenti che si apprestano ad ascoltare la sua lezione. Non può ignorare che il consumo del sapere storico si è progressivamente spostato dalla lettura di opere storiografiche scientificamente fondate all’uso smodato e acritico di informazioni semplificate veicolate nei social media, dall’esercizio rigoroso dello studio del passato sorretto da una sperimentata metodologia al prodotto storiografico divulgativo. Contemporaneamente si assiste a una banalizzazione e manipolazione della storia, con la diffusione incontrollata di notizie non verificate o deliberatamente false (fake news), di tesi negazioniste e deliranti teorie complottiste. Anche la funzione della storia come patrimonio identitario è oggi posta in discussione: il carattere pervasivo della globalizzazione investe non solo l’economia, ma si riverbera nelle nostre vite private, nella cultura, nelle mentalità individuali e collettive, allargando il varco fra le generazioni, mentre la funzione conoscitiva della storia è sopravanzata dall’accelerazione di scenari sempre nuovi.
Questa sommaria ricostruzione di alcune problematiche di attualità può indurre al pessimismo: rispondere oggi alla domanda da cui sono partito – “a cosa serve la storia?” – può apparire una sfida ardua; ma è questo il compito che lo storico si trova ad affrontare, rinnovando i metodi d’insegnamento, trovando nuove parole e nuove modalità di contatto con i giovani, moltiplicando le occasioni e i luoghi d’incontro per la trasmissione di una conoscenza, quella storica, che costituisce un presidio fondamentale di democrazia e di uguaglianza tra i cittadini.
Riccardo Brizzi
Professore associato di Storia contemporanea
Dipartimento delle Arti – Università di Bologna