A partire dagli anni Settanta, all’interno degli studi di pianificazione territoriale, si è posto l’accento sul valore del suono come parametro strutturale, non solo per coloro che fossero dotati di particolare sensibilità uditiva, ma come bene comune. «Introduciamo l’earcleaning nelle scuole e non avremo più bisogno di audiometria nelle fabbriche», dichiarava Raymond Murray Schafer ne Il paesaggio sonoro (1977a, 1993; R. M. Schafer, Il paesaggio sonoro. Un libro di storia, di musica, di ecologia, Casa Ricordi, Milano, 1985). Schafer (1933-2021) ha saputo per primo coniugare una formazione da musicista con quella di ambientalista, fondando presso la Simon Fraser University di Vancouver il World Soundscape Project (1974), un gruppo di lavoro sulla pianificazione territoriale inclusiva. Grazie a svariate registrazioni audio, i membri del gruppo (compositori ed esperti di comunicazione) hanno svolto una ricognizione del paesaggio acustico nel nord America, conducendo inoltre un’indagine comparata tra diversi villaggi europei (Cembra, per l’Italia) al fine di sviluppare, attraverso un lavoro interdisciplinare, un modello utile al design acustico. Tale modello permette di responsabilizzare la persona in ascolto e di favorire una stima qualitativa e consapevole della propria percezione.
Utilizzando un’espressione mutuata dall’ingegneria acustica, Schafer parla di ambiente a bassa fedeltà in riferimento a situazioni di ascolto sfavorevoli, definendo il rumore come non ascolto. Ciò implica che l’esistenza del rumore venga razionalizzata e considerata “necessaria”, delegando al singolo eventuali sensazioni negative (classificate come suscettibilità personale).
Secondo la visione schaferiana, nel pianificare il territorio è da ricercare una gratificazione sonica, denominata soniferous garden (giardino dei suoni), che massimizzi i suoni piacevoli e riduca al minimo i suoni indesiderati o non informativi.
Come è possibile educare all’ascolto? Schafer proponeva, già nel 1973, un esercizio chiamato soundwalk: una camminata in cui il training avviene attraverso l’ascolto delle componenti del paesaggio sonoro e in cui l’ascoltatore possa scegliere quali suoni debbano essere posti in primo piano, quali vadano messi sullo sfondo e come interagire col paesaggio attraverso i propri suoni. Una alternativa con finalità educative è lo studio di una registrazione di paesaggio sonoro della durata di 24 ore condensata in una sola, in maniera da rendere ancor più palesi gli elementi costitutivi del paesaggio sonoro. Tra le 12 raccomandazioni relative al sensibilizzare e al formare l’udente, la città di Vancouver nel 1997 ha proposto il finanziamento di un progetto denominato Earcare Program, che permettesse di segnalare contesti acustici problematici via web, valorizzando i luoghi i cui suoni costituiscano patrimonio culturale (soundmark) e individuando percorsi geografici di formazione all’ascolto, i soundwalks.
A livello europeo, gli studi sul paesaggio sonoro procedono in maniera promettente; il 18 luglio è stata istituita una giornata dedicata all’ascolto consapevole, il “World Listening Day”, è stata costituita una community (il “World Listening Project”) molto attiva sui social media che intende diffondere gli studi di Shafer e la ricerca sul paesaggio sonoro a livello globale.
In Italia, importanti riferimenti sono il convegno Musica Urbana. Il problema dell’inquinamento musicale svoltosi a Bologna nel 2002, che ha avuto il merito di unire figure professionali eterogenee, quali giuristi, medici, psicologi e musicologi con l’obiettivo di affrontare il problema sul piano pluridisciplinare. Due ulteriori e più recenti contributi sono quelli di Giuseppina La Face (Quando la musica diventa persecuzione: l’inquinamento musicale nelle città odierne, in M. R. De Luca – L. Collarile, Geografie sonore. Il suono come elemento dello spazio urbano nell’Italia dell’età moderna, in corso di pubblicazione) e Marco Pretelli, Rosa Tamborrino e Ines Tolic (La città globale. La condizione urbana come fenomeno pervasivo / The global city. The urban condition as a pervasive phenomenon, a cura di M. Pretelli. R. Tamborrino, I. Tolic, Torino AISU (Insights, 1), 2021, vol. 7, pp. 3-18). Recenti sono alcune prime proposte strutturate (facilmente consultabili sul web) di soundwalks guidate nelle più importanti città italiane (http://www.labsimurb.polimi.it/soundwalk-milano/; https://www.turismofvg.it/eventi/il-suono-in-mostra-soundwalk-visita-guidata; http://www.antonellaradicchi.it/portfolio/soundwalks/), seppur organizzate in maniera spesso rapsodica e improvvisata. Uno dei motivi che, a mio parere, rende ancora difficoltoso l’affermarsi di studi e percorsi organici fuori dall’Accademia è proprio la mancanza di figure che si facciano carico di educare all’ascolto con competenza e professionalità. Se l’organismo più adeguato può essere la scuola (e, verosimilmente, il docente di musica), ci si pone il problema di formare gli insegnanti e di capire quali possano essere il tempo e lo spazio ideale per diffondere tali tematiche. È dunque importante mantenere alto l’interesse nei confronti dei soundscape studies, affinché questo interesse non rimanga appannaggio di una élite, ma diventi bene e conquista di tutta la comunità.
Ilaria Contesotto
Dottoranda in Arti visive, performative, mediali
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna