Allo scoppio della Grande Guerra l’ebreo assimilato Arnold Schönberg, luterano dal 1898, è un leale suddito della Duplice Monarchia danubiana; di più: l’alfiere di un pangermanesimo musicale anelante alla vittoria sui nemici del genio tedesco da lui assimilati in blocco a “Montenegrini”, gli Slavi semibarbari derisi nella Vedova allegra di Lehár (1905). Sintomo inquietante di quella che in seguito egli stesso definirà “psicosi di guerra” è una lettera spedita da Berlino ad Alma Mahler[1]:
I miei amici lo sanno; io gliel’ho sempre detto: nessuna musica straniera ha mai significato nulla per me. Mi è sempre parsa stantìa, vuota, schifosamente dolciastra, disonesta e dilettantesca. Senza eccezione. Ora so chi sono quei Francesi, Inglesi, Russi, Belgi, Americani e Serbi: dei Montenegrini! Me lo diceva da tempo la loro musica. […] Ho sempre pensato che Bizet + Stravinskij = Delius, e Delius ÷ Ravel − ∞ (infinito) cioè 0 ÷ 0 − ∞. Per gran tempo questa musica è stata una dichiarazione di guerra, un’aggressione alla Germania. […] Ora viene la resa dei conti! Ora ricondurremo in schiavitù questi mediocri straccivendoli [Kitschisten], e dovranno apprendere ad onorare lo spirito tedesco e venerare il Dio tedesco.
Lecito chiedersi perché dalla lista di proscrizione siano assenti gli Italiani. La spiegazione più verisimile non è artistica, ma politica: alla data della lettera il Regno d’Italia, benché avesse dichiarato la neutralità, era ancora formalmente legato alla Triplice Alleanza con Austria-Ungheria e Germania. Il relativo trattato sarà denunziato da Roma solo il 4 maggio 1915, 20 giorni prima dell’entrata in guerra a fianco dell’Intesa.
Qualche dubbio sull’efficacia della sua assimilazione cagionò a Schönberg il servizio di leva sotto le bandiere asburgiche, svogliatamente subìto dal 1915 alternando l’addestramento nelle retrovie come ufficiale della riserva a licenze e richiami fino al congedo nel novembre 1917. Ancor più che i frizzi di commilitoni e superiori dovette pesargli la notizia di un censimento dei militari israeliti disposto un mese prima dall’alleato prussiano; avvisaglia di quel mito della “pugnalata alla schiena” (Dolchstoß) usato dai nazionalisti per scusare la disfatta come esito del tradimento “giudeo-bolscevico”.
Dopo il crollo degli Imperi Centrali, nell’estate del 1919 i trattati di pace firmati a Versailles e Saint-Germain mettono fine al progetto di unificazione fra le neonate repubbliche di Weimar e di Vienna, imponendo a quest’ultima di rinominarsi da “Republik Deutschösterreich” a “Republik Österreich”. Svanita la fiducia nelle armi e nella diplomazia, la distopia pangermanica restava in vita fra gl’intellettuali dell’avanguardia viennese riuniti intorno all’architetto Adolf Loos, il curatore delle “Linee-guida per un ministero della cultura”[2] firmate per la parte musicale dallo stesso Schönberg:
Compito più importante della Sezione Musicale è assicurare quella superiorità [Überlegenheit] della nazione tedesca nel campo della musica, che si radica nel talento popolare [Volksbegabung]. Ciò deriva probabilmente dal fatto che nei tempi passati il maestro elementare tedesco era quasi sempre anche un insegnante di musica [Musiklehrer] […] e pertanto creava un serbatoio abbastanza grande da alimentare i ceti superiori. Con la fondazione della scuola elementare moderna l’insegnamento della musica si è ridotto a un insufficiente insegnamento del canto. Ancora cent’anni, e avremo perduto questa superiorità.
Il modernista Schönberg coglie qui un dato di realtà storica. Specie nelle piccole parrocchie rurali persisteva ancora nell’Ottocento l’umile figura polivalente del Kantor, organista e Schulmeister, bonariamente illustrata da Jean Paul Richter nell’idillio Leben des vergnügten Schulmeisterlein Maria Wutz in Auenthal (1793). La biografia di Franz Schubert e di suo fratello Ignaz, figli e assistenti del maestro di scuola Franz Theodor Florian Schubert nel sobborgo viennese di Lichtental, offre ulteriori elementi di riscontro.
Restaurare eccellenze pedagogiche premoderne e diffondere il nuovo verbo dodecafonico: obiettivi convergenti nella visione schönberghiana del dopoguerra. A fine giugno 1921 egli confidava all’allievo Josef Rufer di aver “trovato qualcosa che per i prossimi cent’anni assicurerà il primato [Vorherrschaft] alla musica tedesca”[3]. L’illusione tramonta quando, dopo la fondazione della Großdeutsche Volkspartei austriaca (1920) e il Putsch di Monaco (1923), l’antisemitismo su base “biologica” e non più confessionale[4] dilaga in entrambi i Paesi sconfitti. Schönberg ne prende atto in un amaro sfogo spedito da Mödling a Berlino, dove Albert Einstein tiene conferenze a pro del sionismo.[5]
[…] mentre ora, almeno all’estero, mi si considera il principale musicista tedesco, in Germania si è incomprensibilmente lieti di rinunciare al primato musicale purché si eviti di collegarlo al mio nome. In questo, nell’odio contro di me, sono unanimi gli Ebrei e i risoluti seguaci della svastica. […] devo dire che (per quanto io ne sappia) non esiste oggi una musica ebraica (musica d’arte); benché, io credo, tutta la musica occidentale si appoggi sugli Ebrei e debba il suo sviluppo, anzi forse i suoi principi fondamentali, alla natura e allo spirito ebraico. Da un lato l’arte dei Fiamminghi ricorda per molti versi quanto sappiamo del Talmud e della Cabala; dall’altro abbiamo nella musica gitana, in parte permeata dagli Ebrei, il contrapposto di quest’arte cerebrale fondata su conoscenze scientifiche e occulte. A parte ciò (poiché si tratta di un’ipotesi non facile da provare) esiste solo musica tedesca, italiana, francese, ecc. scritta da Ebrei, e che pertanto possiede senza dubbio tratti ebraici.
Paradosso storiografico per cui, come si ricava da testi paralleli degli stessi anni[6], oltre a lui stesso solo Wagner, Mahler, Reger, più (con riserva) Bruckner e Strauss, galleggiano rari nantes su un mare di Judentum che va da Josquin Desprez a Bizet e oltre. Tutti ebrei virtuali nella moderna musica eurocolta, dunque nessun ebreo in particolare. Ma visto che il germanesimo spirituale e profetico di Schönberg non era riconosciuto in patria, l’esito non poteva essere che l’emigrazione. Allorché le leggi hitleriane del 1933 lo spogliarono della cittadinanza tedesca e della cattedra presso la berlinese Akademie der Künste, il compositore tornava alla fede dei padri nella sinagoga parigina “liberale” di rue Copernic; indi, come ebreo a pieno titolo, si rifugiò con la famiglia negli Stati Uniti.
[1] 28 agosto 1914 (autografo perduto, copia nella Alma Mahler-Werfel Collection, University of Pennsylvania), cit. in Hartmut Krones, Max Reger und Arnold Schönbergs “deutsche Musik”, in “Musikgeschichte in Mittel-und Osteuropa”, 18 (2017), pp. 326-352: 329-330.
[2] Richtlinien für ein Kulturamt, Vienna, aprile 1919, p. 10 sg., cit. in Norbert Huse (a cura di), Denkmalpflege – Deutsche Texte aus drei Jahrhunderten, München, Beck, 1984, p. 180.
[3] Josef Rufer, Das Werk Arnold Schönbergs, Kassel, Bärenreiter, 1959, p. 26.
[4] Nell’estate del 1921 al Comune di Mattsee presso Salisburgo, autodichiaratosi judenrein, sarebbe ancora bastato un certificato di battesimo (che Schönberg rifiutò di presentare) per autorizzarlo a villeggiare nel suo territorio.
[5] 1° gennaio 1925. Cfr. The Collected Papers of Albert Einstein (a cura di Diana Kormos), vol. 14: The Berlin Years, Princeton University Press, 2015: pp. 622-4.
[6] Cfr. Krones, op. cit., passim.
Carlo Vitali
Centro Studi Farinelli, Bologna
Magistrale, come sempre!