1 commento

  1. Ai fasti dell’opera lirica in Georgia non è estranea una robusta tradizione di polifonia a cappella, non imitativa ma lineare, che rimonta al Medioevo e dal 2001 è iscritta nel patrimonio immateriale dell’UNESCO. Molto più che folklore per turisti: ancora la si può incontrare nelle aree urbane e rurali, nelle chiese e nei monasteri; vuoi a servizio del culto cristiano ortodosso, vuoi durante occasioni sociali come la _supra_, il banchetto rituale che solennizza battesimi, matrimoni e funerali.

    La combinazione di canto e danza popolare integra il codice genetico di una nazione guerriera, stretta dalla tarda antichità fino ad oggi nella morsa di imperi ostili eppure capace di rialzarsi dopo ogni invasione e perfino di crearsi un impero tutto suo, che fra XI e XIII secolo tenne testa a Bizantini, Turchi selgiuchidi e sultani Ayyubidi trasformando il Mar Nero e il Caspio in laghi georgiani.

    Sono danze acrobatiche punteggiate dal cozzo di spade e scudi, danze di corteggiamento, di lutto, di festa; ma soprattutto maestosi inni eroici e di protesta sociale come quel _Chakrulo_ per tre voci virili che nel 1977 fu spedito nel cosmo sulla sonda spaziale Voyager fra i 29 capolavori musicali dell’umanità.

    Ascolto capace di affascinare eventuali extraterrestri, pensò la NASA: due solisti si avvicendano sullo sfondo di un bordone corale intrecciando linee vocali riccamente ornamentate e saettanti verso l’acuto, mentre agli accordi consonanti si mescolano scabre dissonanze di seconda, settima e nona. Al colmo del virtuosismo nelle parti superiori sta il _krimanchuli_, tecnica paragonabile allo yodel: rapidi e ostinati salti di registro sopra sillabe asemantiche quali haralo, harulailo e simili. Fra spiazzanti modulazioni entro un sistema di scale modali che ricorda alla lontana il canto popolare corso, sardo e balcanico, spuntano quasi-recitativi e formule cadenzali a voce piena: un’esplosione di adrenalina che procura deliziosi brividi anche all’orecchio europeo meglio temperato.

    Commenta Lado Ataneli, potente quanto mellifluo baritono verdiano, pucciniano e verista nonché cultore della canzone napoletana d’arte: “In Georgia tutti cantiamo in coro; in pubblico e in famiglia. I cori tradizionali sono a tre, quattro e sette voci, per cui emissione e corretta intonazione si apprendono sin dall’infanzia come una lingua naturale. Così, nonostante il nostro famoso individualismo, cantando insieme ci si ascolta e ci si aiuta a vicenda”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *