La transizione ecologica chiama l’essere umano ad un cambio di paradigma all’insegna di un ripensamento del rapporto tra sé stesso e il mondo. Al momento però non è ben chiaro in che modo possa contribuire a tale processo la musicologia e sono pure incerte le sue applicazioni didattiche nei vari gradi di istruzione. La lacuna si può però colmare se si reindirizza la sfera di competenza dell’insegnante di contenuti musicologici – in quanto umanista – in senso eco-critico, nonché il suo posizionamento nella diade “essere umano-natura” essenziale in ogni discorso ambientalista.
Di solito, se l’insegnante di discipline scientifiche si occupa di questa – delle sue leggi e dell’impatto dell’attività antropica su di essa –, all’umanista spettano invece le sue rappresentazioni umane. Tuttavia, esse, almeno nell’Occidente, sono spesso dominate da un paradigma antropocentrico, caratterizzato da una rigida ed ontologica alterità tra i due membri della diade. Inoltre, l’umanista tende a studiare il loro rapporto con strumenti epistemologici che tendono, a loro volta, ad una separazione tra i due termini, anche come conseguenza di quella tra i due saperi – umanistico e scientifico. Così, però, si rischia di lasciar fuori dall’orizzonte euristico e didattico importanti fenomeni di interscambio tra umano e non-umano, come ad esempio, l’impatto delle componenti biologiche o ambientali sui mutamenti storici.
Il problema si complica con la musica, spesso vista in termini antropocentrici come arte dello spirito, immateriale ed eterea o, dall’Affektenlehre in poi, come l’arte dei sentimenti e della soggettività umana che si relaziona con la natura tramite la sua imitazione sonora. È una prospettiva appropriata per molta musica del canone occidentale che però rischia di non (far) comprendere importanti opere musicali, specie degli ultimi due secoli di storia della musica, che avrebbero molto da insegnarci su un diverso modo di intendere –in senso eco-centrico – la natura nella cultura. Tra i vari esempi che si possono fare a tal proposito si veda come nella musica di Gustav Mahler il mondo naturale non è oggetto da imitare o raffigurare. Piuttosto in essa i ‘suoni di natura’ irrompono con la loro materialità (acustica, fisiologica, ambientale, ecc.) nel costrutto musicale, come preesistessero e scaturissero dal suo esterno senza l’intervento della soggettività creativa del compositore. Essi, poi, giustapposti ai materiali musicali della musica d’arte, finiscono per assumere una funzione sì di alterità, ma nel contesto di un’opera musicale che si identifica col mondo stesso e il cui baricentro espressivo tende quindi a spostarsi dall’umano al non-umano.
Lo studio dell’impatto della materialità sull’opera musicale e la ricerca in essa delle tracce del rapporto tra la datità del mondo naturale e la soggettività umana. In definitiva possono essere questi i nodi-chiave dell’insegnante-musicologo che voglia vincere le sfide educative della transizione ecologica.
Angelo Pinto
Associate Scholar
Chair del Gruppo di studio ‘Musica e Natura’
Gustav Mahler Research Centre-Dobbiaco/Toblach
Università di Innsbruck