All’inizio del decimo secolo Reginone di Prüm, volendo migliorare le prestazioni dei cantori della diocesi di Treviri, scrisse un trattato di teoria musicale in forma epistolare. Questo scritto aveva una caratteristica particolare: era pieno di riferimenti a motivi ben noti, come le antifone, i responsori e i canti liturgici che tutti allora conoscevano a memoria. Nell’evocare queste melodie, l’autore spiegava al lettore gli intervalli e i modi, dischiudendogli gli orizzonti sconfinati della scienza armonica.
Poco più di cent’anni dopo, Guido d’Arezzo, che in realtà non era affatto aretino, scrisse a sua volta una lettera al confratello Michele e gli consegnò un metodo formidabile per imparare a cantare a prima vista. Su che cosa si basava? Ancora una volta, sull’interiorizzazione degli intervalli con cui iniziavano le diverse parti di una melodia, divenuta poi celeberrima: l’inno a San Giovanni Battista Ut queant laxis.
Da quel momento di anni ne sono passati altri mille, ma i metodi messi a punto da questi due campioni della speculazione musicale conservano intatta la loro efficacia. Oggi come allora (anzi: più di allora, con le tante piattaforme che ci consentono di ascoltare in tempo reale musica di ogni epoca e di ogni genere), se vogliamo parlare di musica con i non addetti ai lavori – e non già soltanto di ciò che sta attorno ad essa –, non ci resta che appoggiarci sull’unico terreno solido e ampiamente condiviso: il bagaglio musicale che accomuna l’autore e i lettori, i motivi che tutti conosciamo e che siamo in grado di canticchiare.
E così anche il mio recente volume Dimmi come fa. Grammatica e sintassi della melodia (Roma, Carocci, 2023) propone un percorso che muove da considerazioni grammaticali (e dunque spiega quali sono gli intervalli, come suonano, come si fa a riconoscerli quando ascolto un motivo) per poi affrontare questioni più complesse di sintassi della melodia: come possiamo rispondere a una frase musicale? che funzione ha la ripetizione in musica? come comprendere la struttura di un brano? Il percorso suggerito dal libro funziona sia se lo si legge autonomamente, sia in un contesto didattico, sotto la guida del docente di teorie musicali, ear training, o di canto, solfeggio e dettato musicale. Ma a una condizione: che il lettore canticchi dentro di sé, oppure ascolti, i motivi di volta in volta evocati. Se ciò accade, accadrà anche il “miracolo” dell’interiorizzazione degli intervalli: e il lettore saprà riconoscere un intervallo di quinta quando lo ascolta; se poi sa leggere le note, sarà in grado di intonarlo quando lo vede scritto. Ma non è tutto: come insegnano i teorici della ricezione, ciascuno “riscriverà” il libro a modo suo – del resto accade per ogni libro, recepito in maniera differente da ciascuno dei suoi lettori –, individuerà i diversi intervalli all’interno dei propri brani preferiti, e baserà su quelli la capacità di riconoscerli dentro a canti sconosciuti (come recita l’incipit dell’epistola di Guido de ignoto cantu). Provare per credere.
Marina Toffetti
Professoressa associata di Musicologia e Storia della musica
Dipartimento dei Beni Culturali: archeologia, storia dell’arte, del cinema e della musica
Università di Padova