Nulla dies sine linea, recitava un adagio antico riguardo alla disciplina del pittore: non lasciar passare un giorno senza tracciare una linea. La linea. Geometricamente immateriale ma nitida, imperiosa, risoluta e continua. Linea come insieme dei punti; superficie come insieme di linee; punto, linea, superficie come principio trino ed uno nella ricostruzione figurativa dell’universo secondo Vassilij Kandinskij; ma anche per tutte le poetiche avanguardiste astratto-concrete, ormai stanche della auscultazione dei trasalimenti atmosferici del Creato, culminati nell’orgia visiva dell’Impressionismo. Per superare definitivamente quella stagione pur gloriosa occorreva ripartire ab imis.
Mauro Perani riparte proprio da quella linea che in natura non esiste, negata dall’osmosi perenne e molecolare dello scenario mondano, ma che già da fine Ottocento si pone a scompartire un mondo nuovo, a innervare la quintessenza delle cose nella grande stagione dell’Art Nouveau. La linea riassume in sé la complessità della natura, della natura naturans, addirittura si pone come scia visibile del movimento, secondo quanto meditava il grande architetto belga Henry van de Velde, che in essa vedeva la traccia vitale delle danze rituali e dei gesti degli uomini primitivi.
Perani affida a una linea, ora nervosa ora distesa, le sue suggestioni picassiane, riviste però in una bidimensionalità assoluta, a posteriori del grande travaglio cubista.
Un Picasso rivisitato però nel segno della levitas e della grazia, quello di Mauro, ove la linea si dà da sé per formare figure femminili che occhieggiano vezzosamente in modo un poco civettuolo, dando forma a un onirico gineceo lunare, visto che la falce del nostro satellite è spesso evocata, e talvolta modella quei visi misteriosi. Mauro ama pure fotografare le ombre prodotte dalla figura umana che il mito tramandato da Plinio il Vecchio pone all’origine della pittura, quando una donna tracciò proprio con una linea il profilo dell’amato, attorno all’ombra proiettata dal suo viso.
Ma quelle linee flesse, ampie e falcate che disegnano le curve del volto, degli occhi, delle labbra sensuose o del corpo, devono talvolta intensificarsi, girare su sé stesse per dar luogo a episodi decorativi “cosmetici”, peculiarmente muliebri, in una sinfonia di cerchi e sinusoidi a varia concentrazione, oppure a filamenti capillari per chiome variamente ornate.
Così le diafane donne di Mauro Perani si affollano in un impercettibile cicaleccio e si atteggiano lanciando occhiate maliarde, facendosi un poco beffe di chi si incanta a guardarle, come forse fa con noi umani la luna da lassù.
Gian Luca Tusini
Professore associato di Storia dell’arte contemporanea
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna