Per sopravvivere e progredire, la specie homo sapiens sapiens ha bisogno di nutrirsi, di riprodursi e di trasmettere il proprio sapere e la propria cultura. A tale scopo gli esseri umani hanno inventato le scuole: di generazione in generazione esse tramandano, formalizzati, i contenuti culturali che la società ha elaborato nel corso della storia. Ciò consente ai giovani di riconoscersi nella propria civiltà, di interagire con essa, di acquisirne consapevolezza.
In questo processo entrano in gioco due saperi: il sapere scientifico, elaborato dai ricercatori; il sapere didattico, insegnato nelle scuole. Saperi non scissi, ma in rapporto costante: in un mondo ideale, i docenti delle scuole attingono ai contenuti scientifici, e i ricercatori osservano la scuola perché è lì che il loro sapere, opportunamente organizzato, circolerà. Si sono così sviluppate, in seno alle discipline, anche le rispettive didattiche: didattica delle lingue, della matematica, della storia eccetera. Gli studiosi di questi campi sanno che la trasmissione del sapere è essenziale allo sviluppo della società, ma di rimando anche alla sopravvivenza delle discipline, e dunque di loro stessi.
Come stanno le cose nella musicologia? Non sono molti i musicologi che si occupano delle problematiche poste dalla trasmissione del sapere. Pochi tra loro riflettono sull’epistemologia della disciplina e sui processi di apprendimento-insegnamento che i contenuti sia musicali sia musicologici implicano e stimolano. Considerano la Pedagogia e la Didattica della musica come discipline sussidiarie, demandate a pochi specialisti. Questa disattenzione pregiudica lo scambio con la scuola, crea uno iato fra musicologi e insegnanti. Uno sguardo ai libri di testo in uso nelle nostre scuole, spesso onusti di errori e fraintendimenti, può essere istruttivo.
Ma se questo disinteresse persisterà, che ne sarà dei musicologi? Se le loro ricerche non fertilizzeranno anche il circuito del sapere didattico e rimarranno integralmente confinate in una squisita torre d’avorio, cosa accadrà alla lunga della nostra disciplina? In una congiuntura di risorse calanti, chi vorrà più investire in posti di lavoro per una scienza, la musicologia, che all’“uomo comune” apparirà sempre più astratta e arcana?
Dovremo infine inaugurare una sezione apposita del WWF per proteggere i musicologi dall’estinzione, come si fa per l’orso della Majella?
Giuseppina La Face
Ordinario di Pedagogia musicale
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna