La scuola dell’infanzia. Questioni di qualità

 

Oggi si parla tanto di qualità, ma cosa si intende, concretamente, con questo termine? Concetto ambiguo e complesso, la qualità, potremmo dire, è proprietà caratteristica di una specifica ‘cosa’, ne determina la natura e la distingue dalle altre. La qualità impone obiettivi realistici, misurabili, misurati e da migliorare; può riguardare le persone, i comportamenti, la cultura, ovvero tutti quegli elementi che non possono essere né copiati né certificati; può essere considerata come un risultato determinato dalla corrispondenza del prodotto alle esigenze dei clienti per i quali è stato realizzato. Ma se parliamo di qualità della scuola dell’infanzia, cosa intendiamo? Proviamo a ragionare con i concetti adoperati sin qui: una siffatta scuola dovrebbe essere caratterizzata da precise categorie che ne determinano la natura, rendendola così riconoscibile e distinguibile dagli altri ordini di scuola (primaria e secondaria). Categoria principale: l’impegno al raggiungimento di obiettivi che rispondano al meglio allo sviluppo delle competenze dei bambini dai tre ai cinque anni. Non basta. Una scuola dell’infanzia è davvero di qualità se è fondata su un modello di progettualità ben definito: se promuove cioè attivamente prassi didattiche eccellenti che, per essere tali, vanno monitorate e valutate. Ma come sottoporre a controllo empirico addirittura l’agire didattico degli insegnanti? Un’ipotesi è la costruzione di nuovi strumenti valutativi finalizzati a monitorare l’azione didattica in funzione del raggiungimento degli obiettivi di apprendimento del curricolo esplicito e implicito. Nello specifico, l’osservazione mirata ad una scuola dell’infanzia di qualità deve monitorare prassi indispensabili: ad esempio, saper predisporre contesti didattici intenzionalmente e collegialmente condivisi; promuovere traguardi per lo sviluppo cognitivo e sociale dei bambini; diversificare i contenuti e le situazioni didattiche all’insegna dei principi di individualizzazione e di personalizzazione; promuovere progetti in continuità con la scuola primaria e con il territorio. Il fine ultimo? Un controllo più intelligente ed istruito delle prassi didattiche. La ricaduta sulla professionalità dei docenti? L’adozione di nuove metodologie d’indagine e la capacità di far convergere teoria e prassi: dal paradigma della conoscenza contemplativa a quello della conoscenza attiva. Quanto qui si prospetta non è un’astrazione: sta accadendo realmente, in questo periodo, in alcune scuole bolognesi particolarmente avvertite. 

Rossella D’Ugo

Assegnista di ricerca

Dipartimento di Scienze dell’Educazione “G.M. Bertin”

Alma Mater Studiorum – Università di Bologna