Per antica tradizione – «cose note, cose note», direbbero in Così fan tutte – il ruolo della musica nella cultura nazionale, non a caso già a partire dalla scuola, è modesto. Ben lontana dal godere del prestigio di altre discipline artistiche, è raramente considerata nella ricchezza del suo apporto formativo; tutt’al più suscita interesse, più spesso mera curiosità, finendo per esser valutata alla stregua di un’attività piacevole, entertaining, e in quanto tale marginale e in fondo superflua. Questa almeno è la condizione in cui si trova la disciplina nell’intera gamma delle scuole superiori di II grado tranne il Liceo musicale. Ora, fatti salvi auspicabili ravvedimenti del legislatore, la correzione della situazione attuale non può se non passare dalle altre discipline e dal coinvolgimento dei loro docenti. Lo snodo è cruciale: l’“infiltrazione” della musica nei programmi curricolari altrui non costituisce infatti soltanto un passaggio obbligato, faute de mieux, per raggiungere gli studenti, bensì un luogo strategico in grado di esplicare tutte le potenzialità della musica in un’autentica, virtuosa dinamica interdisciplinare.

Chiave di volta è il docente non musicista, nel quale occorre procurare lo stupore per le prospettive di senso che la musica è capace di dischiudere: disciplina dunque che non resta ai margini (come vuole la vulgata culturale nostrana) ma va al cuore delle cose. Occorre che si produca nel docente in questione, di solito meglio disposto di quanto si immagini, quel fenomeno d’incantamento/impietrimento, quel “restare di sasso” che nelle lingue germaniche è ancora presente nella parola stupore (astonishment, Staunen, da stone e Stein). Lo stupore scatterà quando si sarà mostrato che il sapere musicale è in grado di far comprendere meglio alle altre discipline il loro stesso significato, il quale senza tale apporto risulterà più povero, meno illuminato, meno convincente sul piano didattico. Prendiamo in considerazione due testi poetici molto distanti, la cui lettera trarrà non poco giovamento dall’intonazione musicale. Nella lirica Heidenröslein («Rosellina selvatica»), Goethe mette in scena una vicenda di sopraffazione e violenza attraverso l’apologo apparentemente innocuo del dialogo tra un giovane e una rosa. La sottigliezza di questo meccanismo poetico straniante emerge con chiarezza all’ascolto dell’omonimo Lied D 257 in cui Schubert adotta, per intonare il testo goethiano, un’apparentemente ingenua forma strofica che dissimula la gravità dei sottintesi testuali: cfr. G. La Face Bianconi, Testo musicale e costruzione della conoscenza https://www.saggiatoremusicale.it/saggem/ricerca/bibliografia/la_face_testo_musicale_costruzione_conoscenza.pdf

Il madrigale Vago augelletto che cantando vai dall’VIII Libro monteverdiano arricchirà di prospettive insospettabili la lettura dell’omonimo sonetto di Petrarca in morte di Madonna Laura, del quale il compositore isola e reitera ossessivamente a mo’ di ritornello l’euforico verso d’apertura, che viene così a compensare i tredici, tetri versi successivi, popolati di immagini invariabilmente disforiche. E così via. La moltiplicazione di esperienze simili non rappresenterà soltanto una semplice alleanza tra discipline, già di per sé auspicabile e fecondissima, ma un netto incremento in conoscenza, ricchezza formativa ed efficacia didattica.

Raffaele Mellace

Professore associato di Musicologia e Storia della musica

Università di Genova

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