Gli anni Sessanta furono un periodo straordinario per l’arte, la musica e in generale la società. Illuminanti le parole di Ian MacDonald, storico dei Beatles: «Un solare ottimismo permeava ogni cosa, e le possibilità apparivano illimitate» (I. MacDonald, The Beatles. L’opera completa, Milano, Arnoldo Mondadori, 1997, p. 216; prima ed. 1994).
Nella musica si affermarono tendenze che proponevano forme d’espressione nuove, radicali e perfino dirompenti. Talvolta esse mettevano in discussione aspetti della tradizione, notazione e suoni compresi. Da queste posizioni scaturirono in molti casi esperienze e lavori straordinari e avanguardistici.
In quegli stessi anni Sessanta l’educazione musicale viene introdotta in Italia come disciplina scolastica. Risente subito delle spinte al rinnovamento, ma con qualche equivoco di fondo. S’afferma nella pedagogia musicale – disciplina cresciuta senza alcun rapporto con la musicologia storica – una tendenza forte, e presto prevalente, che teorizza e promuove il superamento del sapere musicale tradizionale con lo scopo di formare un cittadino aperto al nuovo. Dunque, da ridimensionare, se non addirittura da escludere, la notazione pentagrammata, assunta a modello d’un’idea di musica sclerotizzata sulle sette note e chiusa alle sfide dei nuovi suoni; via la musica d’arte storica, zavorra da cui bisogna liberarsi per poter gustare le tante musiche del presente; da bandire dalle aule ogni aspetto di sapere disciplinare di tipo teorico, di per sé vecchio e superato.
Ma c’era un malinteso di fondo. Il clima effervescente della cultura musicale negli anni Sessanta si reggeva su un fondamento: il riferimento talora implicito e comunque scontato – ancorché in termini dialettici se non di opposizione – a un passato e a una tradizione che gli artisti per primi avevano ben presenti e conoscevano assai bene. Il sintagma stesso di “musica contemporanea”, che si usava e si usa tutt’ora per la musica d’arte del Novecento e di oggi, indicava questo rapporto: a differenza del “presente”, il concetto di “contemporaneo” presume infatti una componente di riflessione tanto rispetto a ciò che precede quanto rispetto a ciò che seguirà. Non così era per i nostri alunni. Per loro il sapere musicale e la storia della musica erano oggetti nuovi e da scoprire; non da ridimensionare, né tantomeno da abbattere.
Dopo mezzo secolo, molte ricerche empiriche mostrano quanto resti da fare: la stragrande parte dei nostri connazionali – oltre a non essere in grado di decifrare un semplicissimo spartito – non sa orientarsi nella storia della musica, predilige abitudini d’ascolto basate sulla musica commerciale, non sa nulla della musica d’avanguardia di ieri come d’oggi, ignora Beethoven e Mozart. Se l’obiettivo era di giungere alla formazione di cittadini musicalmente più competenti, aperti e curiosi, ciò non è avvenuto. E tante proposte didattiche dalle ambizioni innovative, per quanto avanzate anche da persone preparate e in buonafede, non hanno tenuto abbastanza conto della realtà e dei risultati che, rebus sic stantibus, avrebbero potuto conseguire.
Nell’ultima decina d’anni qualcosa è cambiato. Molti insegnanti, a principiare da quelli della primaria, hanno cominciato ad avvertire con forza la necessità di una più solida cultura e formazione musicale per i loro allievi, e a chiedere una preparazione disciplinare più specifica, in primis per sé stessi. Allo stesso tempo alcuni corsi universitari mirati alla formazione dei docenti hanno cominciato ad elaborare curricoli nei quali la formazione musicale parte dall’abc, nella consapevolezza che nessuno potrà insegnare quello che non sa. Ad alcuni osservatori ancorati ai modelli d’avanguardia del passato queste richieste e questi programmi possono apparire troppo tradizionali. Eppure, vista la situazione generale, sono necessari; e lo sono tanto più se si vuole che le generazioni presenti e future non siano solo fruitrici delle musiche commerciali del loro presente, ma sappiano gustare anche le musiche d’arte della nostra storia, nonché le composizioni contemporanee complesse e quelle che verranno.
Paolo Somigli
Ricercatore confermato
Docente di Musicologia musica e didattica
Libera Università di Bolzano