A partire dalla scorsa primavera, gli organi d’informazione hanno riportato le linee programmatiche del Piano scuola estate 2021 promosso dal Ministero dell’Istruzione. Il Piano – rivolto agli allievi di ogni ordine e grado – era pensato per riacquisire quanto perso durante le interruzioni della didattica in presenza imposte dall’emergenza sanitaria. Esso auspicava la ripresa di «apprendimenti e socialità, mediante laboratori per il potenziamento delle competenze e attraverso attività educative incentrate su musica, arte, sport, digitale…». Su tale base normativa le scuole potevano presentare i propri progetti e, a posteriori, si è appreso che le ore di tempo scuola recuperate avevano superato il milione. Tale monte ore rappresenta un successo: ciononostante, noi docenti del settore musicale, abbiamo riflettuto su cosa si intendesse per «musica» in quel dettato normativo. E non in qualsiasi àmbito educativo, ma in particolar modo nel segmento della comune scuola secondaria superiore, in cui, com’è noto, la cultura musicale semplicemente non esiste. La musica, come mezzo di riacquisizione di apprendimenti, ha senza dubbio valore quando vi sia una qualche base pregressa: nel nostro caso, questa potrebbe essere stata acquisita dai singoli studenti solo a titolo personale e non certo nelle aule scolastiche. Per gli istituti superiori, quindi, le indicazioni ministeriali non potevano che riferirsi alla musica come socialità del cantare e suonare insieme. Intento di per sé lodevole e di grande impatto educativo, ma che esclude il “sapere musicale” dal novero degli insegnamenti che, attraverso le opere, producono conoscenza storica, riflessione analitica, cura del senso estetico nonché possibilità di proficua interrelazione tra diversi campi disciplinari, né più né meno di quanto avviene con tutte le altre arti.
Alla musica tale status formativo è ancora negato e potrebbe essere giunto il momento di porre rimedio a tale imbarazzante assenza. A tal fine, ad esempio, si potrebbero proporre alle scuole superiori moduli di cultura musicale di spiccata impostazione analitica per consentire agli studenti un ragionato approccio ai modi comunicativi propri della musica, indispensabili alla successiva capacità di elaborare agganci con altri campi del sapere grazie all’individuazione di argomenti ai quali i docenti di altre discipline curricolari potrebbero contribuire.
Ma sorge subito il problema della scelta dei docenti a cui affidare tali moduli. Perché per una siffatta disciplina servirebbero insegnanti con competenze afferenti a ben tre classi di concorso: Teoria, analisi e composizione (A064), Storia della musica (A053) con significativo taglio interdisciplinare, nonché l’ormai soppressa Educazione musicale nelle scuole superiori (A029). Bisognerebbe quindi formare giovani musicologi a tutte le competenze e conoscenze necessarie. A tale scopo sarebbe utile istituire una specifica classe di concorso, crocevia di tutti i saperi indispensabili: andrebbero evitati sia gli inutili tecnicismi sia la diluizione della specificità del discorso musicale all’interno delle varie discipline. L’auspicio è che in futuro la musica possa essere un po’ meno inesistente nelle nostre scuole superiori.
Maria Cristina Paciello
Docente di Educazione musicale
Liceo Ginnasio “T. Tasso”, Roma