Durante un’intervista sul mio libro Due parole sulla musica. Noi e il lessico musicale (Carocci, 2020) mi fu rivolto il seguente quesito: di quale importanza è per l’ascolto la conoscenza del lessico musicale? Mi pare una domanda interessante e dunque vorrei ripartire da qui. Credo che una maggiore familiarità con il lessico musicale possa aiutarci a parlare di musica – a esternare le prime impressioni suscitate dall’ascolto musicale – ma anche a comprendere quel che ascoltiamo. E credo anche che le parole, come ricorda il titolo di questo articolo, non mentano: nelle parole e nella loro storia si annidano concetti che ci appartengono.
Parlare di musica con altri ascoltatori, anche in contesto didattico, educativo o divulgativo, accresce la sensibilità musicale dei discenti e dello stesso docente, grazie allo sforzo per esprimere le proprie impressioni e l’apporto della sensibilità musicale altrui. Questo esercizio però risulterà tanto più fruttuoso, quanto più ci si sforzerà di impiegare termini appropriati. In questo circolo tutti hanno da guadagnare (anche chi insegna) e nessuno da perdere. Per poterlo innescare, però, sarà utile muovere da un terreno comune a specialisti e non specialisti, addetti e non addetti ai lavori: il lessico quotidiano.
Molte espressioni di uso corrente traggono origine dal linguaggio musicale. Ad esempio «è sempre la solita solfa!», «è ora di cambiar musica!» sono espressioni che chiunque è in grado di comprendere: tutti sanno cosa vuol dire armonizzarsi, riconoscere la tonalità di un colore, concertare una soluzione condivisa, tener bordone. Non tutti però conoscono le leggi dell’armonia, la storia della tonalità, il significato della concertazione o sanno cosa sia un bordone. Alla luce di questa semplice constatazione, credo che valga la pena di partire da ciò che un musicista e un non musicista hanno in comune – il linguaggio di ogni giorno – e riflettere sui suoi percorsi, alle volte lineari, più spesso tortuosi, per cercare di capire, al di là di ogni puntuale significato, il senso profondo di ciò che si dice.
Qualcuno potrebbe pensare che si tratti di semplici prestiti, parole prese a prestito da un ambito semantico e poi applicate a un altro. In realtà la questione è più complessa. Nel caso di molti termini la domanda cruciale è la seguente: perché la musica, più di altre arti, si è presentata alla mente umana come la miglior metafora dell’armonia, della concordia, del sublime, del divino, e di altri concetti che ci sono tanto cari?
La conoscenza del lessico musicale ci mette in condizione di concettualizzare quel che ascoltiamo; e imparare a dare un nome ai fenomeni musicali che sappiamo cogliere durante l’ascolto predispone a una modalità di ascolto più attenta e consapevole. Ascolterò con maggiore profitto, se saprò in quale direzione indirizzare la mia attenzione. Della musica pochi si chiedono come meriti di essere ascoltata, quale attenzione richieda. In un’ottica simile, la riflessione sul lessico musicale potrà giovare anche ad un ascolto consapevole.
Molti ascoltatori sono attratti dalla musica, ma allo stesso tempo si sentono tagliati fuori dal suo mondo per il solo fatto di non essere in grado di parlarne. Anche costoro però fanno uso quotidianamente di termini dotati di significati musicali (accordo, armonia, contrappunto, concerto, consonanza, tono, e tanti altri…) spesso senza rendersene conto. Credo che per costoro familiarizzare con l’altra faccia della luna – con il significato musicale di tanti termini comuni – possa far comprendere che la musica, lungi dall’essere appannaggio esclusivo di pochi iniziati, si rivolge a tutti ed è patrimonio comune.
Marina Toffetti
Professore associato
Dipartimento dei Beni culturali: archeologia, storia dell’arte, del cinema e della musica
Università degli studi di Padova