Vorrei raccontare un avvenimento autobiografico, durante il quale ho inaspettatamente praticato Pedagogia musicale in un luogo non istituzionale. Durante il percorso in Frecciarossa tra Venezia e Bologna sto ascoltando in cuffia, con la partitura davanti, la messa La Sol Fa Re Mi di Josquin Desprez. Ad un certo punto la viaggiatrice al mio fianco mi saluta e ci presentiamo. È una studentessa messicana di Storia dell’arte, e di fronte al mio dirmi musicologo, mi chiede se ho composto canzoni note. Rispondo alla domanda con un paragone: «Sono come Erwin Panofsky, ma con la musica come campo di ricerca». Incuriositasi, la ragazza vuole in realtà sapere cosa sto ascoltando: spiego che si tratta di una messa di un compositore vissuto tra XV e XVI secolo. Capisco che vuole più di tutto ascoltare: le passo dunque le cuffie. Terminato il Kyrie I, vedo che Josquin non ha avuto successo. La studentessa mi spiega che il brano è malinconico e troppo distante dalla musica che conosce (cantautrici sudamericane, principalmente). L’esperimento si poteva concludere così, ma sentivo che avrei potuto giovarle se le avessi anche solo fatto intuire perché vale la pena di interessarsi a questa composizione. Replico quindi «Se non ti è piaciuto va bene, però vediamo un po’ cos’abbiamo di fronte. Come vedi, il titolo della messa è La Sol Fa Re Mi. Si chiama così perché trovi questa formula in tutte le cinque parti del brano, e con valori ritmici sempre mutevoli. Sai come suona?» e qui l’ho cantata molto piano. «Guarda la voce del Basso del Kyrie I: deve solo enunciare la formula per due volte. Il Tenore del Kyrie II la ripete per dieci volte! Poi, qui si impiega il contrappunto (le spiego cos’è): più le parti sono indipendenti (per il loro ritmo), più attenzione ci vuole. Da ultimo, bada alle imitazioni (gliele indico in partitura). Quanto all’atmosfera malinconica… pensa che è musica per la liturgia, su un testo di supplica». Detto ciò, riascoltiamo il pezzo alla luce delle nuove informazioni e lei s’illumina. È riuscita a cogliere la formula, e anche il gioco di incastri tra le voci: «Ho più gradito rispetto a prima. Non è detto che un giorno non approfondisca…». Poi, continua: «Non la sento più triste, ma suscitatrice di calma». Le rispondo: «Questo accade perché ora non lasci più scorrere i suoni con mente inerte; sai cogliere ciò che il compositore intendeva che tu cogliessi, ed hai già meno preconcetti rispetto al primo ascolto».
La distanza tra una studentessa messicana di oggi e il nostro autore, un prevosto del nord della Francia morto nel 1521, si è un po’ assottigliata: «Se vuoi che ti piaccia, devi conoscere il più possibile di una data composizione. Proprio come si fa per ogni prodotto artistico. Il mio scopo era quello di farti sapere. Se la musica che ti ho proposto ti appassiona, meglio; non tutto piace (o piace subito). Con la musica d’arte, accade che chi accresce il proprio sapere, accresce anche la passione». Siamo ormai nei pressi di Bologna. Non mi resta da fare altro se non salutare ed augurare buona continuazione. «Magari al tuo prossimo viaggio in Italia ti illustrerò anche gli altri pezzi della Missa. O forse, ora che ne sai di più, troverai il modo di farlo tu stessa. Buon viaggio!». Beh, adesso una persona in più sa dell’esistenza di Josquin Desprez.
Paolo Vittorelli
Dottore di ricerca in Musicologia
Dipartimento delle Arti – Università di Bologna
Intento molto lodevole, ma tempo perso con certa gente.