Didattica Museale Musicale: una sfida sempre aperta

Il rapporto tra gli strumenti musicali e il museo è un tema che sin dalla metà dell’Ottocento ha suscitato interesse, dibattiti vivaci e riflessioni. In generale, i musei che conservano patrimoni musicali sono caratterizzati da un allestimento di strumenti e materiale musicale eterogeneo (partiture, codici, bacchette da direzione, lettere e autografi, abiti di scena, calchi delle mani di grandi musicisti, ecc.), fin troppo affastellato in teche e vetrine. Oltre la necessaria e ovvia problematica di conservazione e tutela da parte dell’istituzione proprietaria, è importante riflettere sull’impatto che questi allestimenti esercitano sui visitatori – il pubblico, o meglio, i diversi pubblici[1] – che più degli specialisti hanno bisogno di essere guidati in luoghi così particolari. Si possono adottare molti accorgimenti: lasciare spazi adeguati tra le vetrine per facilitare, ad esempio, le scuole che di solito partecipano con due classi per volta; non collocare piccoli oggetti in ripiani alti perché ciò ne complica la vista e la comprensione; evitare cartellini e didascalie troppo sintetici o troppo prolissi e fare attenzione alla loro visibilità; distribuire adeguatamente il patrimonio nello spazio a disposizione (non troppo affollato ma nemmeno troppo dilatato) perché anche il solo passeggiare in un museo richiede un suo tempo. Gli strumenti musicali sono beni complessi: costruiti per assolvere alla funzione primaria di emettere suoni, sono allo stesso tempo opere d’arte, macchine ingegneristiche e raffinate testimonianze del ‘saper fare’ musicale, che vari popoli tramandano e custodiscono di generazione in generazione. Uno strumento musicale in un museo, pur generalmente muto, può raccontare la propria storia e quella di chi l’ha costruito, il mondo sociale e culturale che lo ha visto nascere e crescere. Le sfide e i problemi in cui ci si imbatte nell’allestimento, nella fruizione e nella comunicazione di questa tipologia di beni culturali sono numerosi. La multimedialità oggi aiuta senza dubbio a superare la sensazione ‘mortifera’ del sotto vetro,[2] sebbene il rischio di cadere nell’effetto opposto – con l’uso sfrenato di effetti speciali – sia sempre in agguato. Un allestimento efficace è il risultato di un sapiente dialogo tra comunicazione e didattica. Deve far emergere lo stretto e imprescindibile legame tra il patrimonio culturale tangibile (i beni musicali nel nostro caso) e quello intangibile costituito da valori, costumi, pratiche rilevanti in una certa cultura attuale o passata.[3] Già Victor-Charles Mahillon (1841-1924) – primo conservatore del Museo del Conservatorio Reale di Bruxelles – aveva sottolineato l’importanza di questo dialogo nella sua prefazione al catalogo del museo nel 1880.[4] Il rischio, altrimenti ancora oggi incombente, è quello già segnalato nel 1854 da Henry Cole (direttore del South Kensington Museum di Londra) che scrisse: «se i musei e le gallerie non serviranno a scopi educativi, si ridurranno ben presto a istituzioni sonnolenti e inutili».[5]

Donatella Melini
Università di Bologna

Scuola di specializzazione in Beni musicali


[1] Maria Vittoria Marini Clarelli, Che cos’è un museo, Carocci, Roma, 2022.
[2] Eric De Visscher, Museums as Theater: what about Musical Instruments?, in «Journal of the American Musical Instrument Society», 44, 2018, pp. 26-32.
[3] Berta Martini, Pedagogia dei saperi. Problemi, luoghi e pratiche per l’educazione, Franco Angeli, Milano, 2016.
[4] Victor-Charles Mahillon, Catalogue Descriptif et Analytique du Musée Instrumental du Conservatoire Royale de Musique de Bruxelles, C. Annoot-Braeckman, Gand, 1880, p. IX.
[5] Charles Saumarez Smith, The New Museology, Peter Vergo (ed. by), London, 1989.

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