Paolo Gallarati
È tenace la critica musicale; è robusto il suo asse ereditario. Nata nel Settecento in Germania in riviste specializzate, come Critica Musica di Johann Mattheson (Amburgo, 1722-25)o Der critische Musicus diretto da Johann Adolf Scheibe (Amburgo, 1737-40), ha adottato per la prima volta il termine Rezension nei periodici tedeschi della seconda metà del Settecento, per indicare ricognizioni, brevi o lunghe, di opere e composizioni strumentali. Nel secondo Ottocento la critica musicale si è estesa ai quotidiani politici e di opinione, dividendosi tra giornalismo e musicologia specializzata. Una divaricazione assai meno netta in Italia, dove la critica militante ha visto sovente impegnati studiosi attivi anche nel campo della musicologia.
Oggi, da quando qualche guru dell’editoria giornalistica, senza magari mai essere andato a vedere un’opera o a sentire un concerto, ha decretato che la recensione “non è una notizia” – forse perché le notizie sul giornale si trovano, mentre le recensioni si cercano e costituiscono un servizio fatto al lettore – i giornali hanno progressivamente emarginato questa specialità sino a sbriciolarla in insignificanti frammenti o tacitarla del tutto. Invece, la recensione è l’unica notizia che interessi chi vuol sapere che cosa succede nel mondo della musica, del teatro e del cinema. Lo dimostra la tenacia con cui la critica musicale, emarginata dai quotidiani, ha trovato per affermarsi altri canali di espressione. Fioriscono in rete alcuni siti dedicati alle recensioni musicali, di qualità alterna, ma comunque capaci di svolgere in modo più o meno completo alcune delle funzioni cui la recensione è votata: offrire agli spettatori-ascoltatori la possibilità di confrontare il proprio giudizio; fornire agli altri lettori l’immagine di spettacoli cui non hanno potuto assistere; registrare le tendenze del gusto musicale e teatrale; verificare le prospettive, sempre mutevoli, della recezione dei classici e dei moderni; informare sulle novità; descrivere la personalità di nuovi interpreti e l’evoluzione di quelli conosciuti; esercitare, infine, un controllo sull’impiego dei soldi pubblici e privati in rapporto alla qualità del prodotto.
Il critico va dunque a teatro consapevole che, in ogni caso, lo attende un’imprevedibile avventura. Naturalmente, nella recensione entra il gusto di chi la scrive, che, se ha coscienza di sé e del proprio mestiere, sa che i suoi giudizi, per quanto ricchi di esperienza, nascono da un angolo di visione parziale, e quindi relativo. Senza prendersi troppo sul serio e accantonando ogni pregiudizio in modo da poter giudicare lo spettacolo e i suoi interpreti come-se-fosse-la-prima-volta, il critico specialista sa di offrire semplici occasioni per comprendere, giudicare, scoprire e amare la bellezza della musica e la complessità dei suoi contenuti, sino a divenire un punto di riferimento per quei lettori che intendono maturare il proprio giudizio, ma non si accontentano di farlo nel supermarket dell’indifferenziato che offre in rete qualunque prodotto. Per questo sono convinto che, nel suo connubio di cronaca e storia, impressione e riflessione, la recensione rappresenti un servizio di cui il frequentatore di teatri e concerti, finché esisterà la musica eseguita dal vivo e il piacere di ragionarci sù, continuerà a sentire il bisogno.