Antonio Giacometti
Prima d’iniziare un auspicabile lavoro di ricerca sui contenuti e sulle metodologie in grado di definire in che cosa consista e come si possa articolare una didattica dei processi creativi nell’ambito del medium musicale, anche rispetto alle diverse età cognitive e psicologiche e ai diversi contesti scolastici e più latamente sociali, il dibattito interno alla Commissione si è sviluppato intorno alla disamina dell’attuale assetto della didattica compositiva nei Conservatori italiani.
In particolare, si evidenzia tuttora la mancanza di una didattica metta in atto strategie d’insegnamento consapevoli degli obiettivi da raggiungere ed esercitino una riflessione teorica che quelle strategie possa costantemente rinnovare e migliorare, Il “come” s’insegna non è meno importante del “che cosa” ed il porsi come riflessione metodologica il problema della necessità di adeguare i contenuti ai possibili (e mutevoli) contesti nei quali dovrà muoversi il futuro compositore professionista e le strategie alla “biografia” umana e musicale di cui ogni allievo è portatore non è meno decisivo della pur legittima preoccupazione di fornire nozioni e modelli di creatività. Manca di fatto il confronto e il lavoro comune tra docenti e con esso il definirsi di una didattica frutto di elaborazione intellettuale, di sperimentazione, di verifica e di ridefinizione, in un continuo feedback capace di trasformarla in funzione di scenari sociali e culturali in veloce mutamento. Non sarà un caso se quasi quarant’anni di “sperimentazioni” nell’ambito dell’insegnamento della composizione non hanno prodotto alcuna pubblicazione di tipo metodologico, ma solo, e ancora, manualistica o trattatistica.
Se manca il riferimento a un modello didattico valutabile e approfondibile, l’allievo di oggi sarà, domani, insegnante privo di un terreno sul quale costruire e ri-contestualizzare il proprio lavoro e, quindi, costretto a perpetuare una visione parziale dei modi di trasmissione delle competenze (quella del proprio insegnante, o dei propri insegnanti individualmente intesi) oppure a studiare in proprio per attivare una rivoluzione metodologica che verosimilmente non avrà interlocutori e così via girando a vuoto. Questa situazione di stallo si fa ancor più pesantemente sentire sul rapporto che i compositori hanno avuto, hanno e continuano ad avere col mondo della cosiddetta “educazione musicale di base”, cioè di quell’ambito didattico che mira ad innervare i saperi e le pratiche musicali (comprese quelle creative) nel tessuto della formazione scolastica. Quali occasioni hanno gli studenti di composizione nei Conservatori italiani per scoprire la loro eventuale vocazione didattica, per sostenerla con le necessarie conoscenze e arricchirla con significative esperienze sul campo? Se i compositori ci mettono del loro per rimanere lontani dal nucleo ‘vivo’ dell’educazione musicale, l’istituzione preposta a curarne la formazione professionale in sintonia coi possibili sbocchi esterni certo non contribuisce a stimolarne la partecipazione.
Ne consegue che il rapporto tra compositori e didattica (i compositori del presente, ma, soprattutto, quelli del futuro) è tutto da ricostruire, ipotizzando almeno quattro tappe:
1. Creare la mentalità, cioè abituare gli allievi delle classi di composizione a pensare il loro futuro in un ambito professionale allargato al settore educativo, senza che si disperda la specificità attitudinale e si mortifichino le aspirazioni d’ingresso.
2. Creare le premesse, cioè ripensare i corsi di composizione comprendendo i settori della metodologia didattica applicata alla produzione di opere per bambini e ragazzi, ma anche all’intervento laboratoriale con bambini e ragazzi, finalizzato alla realizzazione di progetti creativi in collaborazione con altri ambiti disciplinari per conseguire un’autentica educazione espressiva ed estetica nelle scuole di ogni ordine e grado.
3. Creare le occasioni, cioè organizzare, con apposite convenzioni tra scuole e istituzioni di alta formazione musicale, forme di stage e di laboratorio creativo che coinvolgano gli studenti di composizione più interessati.
4. Favorire il confronto, che non significa solo aprire un dialogo costante fra le istituzioni che lavorano nella direzione qui auspicata e, di, conseguenza, promuovere la circolazione e l’interscambio di idee e progetti, ma anche, in prospettiva, individuare all’interno delle singole istituzioni i diplomati più meritevoli, che abbiano seguito questo iter formativo, e segnalarli a scuole, accademie e direzioni artistiche dei teatri come professionisti competenti nella composizione di opere che prevedano il coinvolgimento attivo, dalla progettazione alla realizzazione, di bambini e ragazzi.
Le possibilità di nascita e di sviluppo di nuovi Orff e Kodály nel nostro paese è legata all’interazione fra questi quattro momenti, perché se è vero che nessuno, oggi, può improvvisarsi didatta né spacciarsi come tale senza possedere la necessaria preparazione specifica (neppure il compositore più colto e geniale) è altrettanto vero che se non si cominceranno a creare le condizioni che permettano di riconoscere al compositore il ruolo che gli compete nei processi educativi dei giovani (aspiranti musicisti o non che siano), si condanneranno nel contempo centinaia di giovani di talento ad una professionalità aleatoria e socialmente ignorata e la scuola a perdere le mille sfaccettature di una creatività musicale viva, espressione attenta e curiosa di un presente complesso e stimolante.