Angelo Zanardini e le ‘versioni ritmiche’ di opere liriche
Tolto il caso isolato di Giuseppe Carpani per il Teatro Arciducale di Monza (1787-1795), la traduzione italiana di melodrammi alloglotti è stata oggetto di scarsa attenzione critica. Del resto, soltanto nel secondo Ottocento le opere liriche d’oltralpe date in traduzione italiana vennero a occupare un posto notevole nei cartelloni: ma le procedure e le linee guida seguite dai traduttori, non più dichiarate in didattiche prefazioni, rimangono in ombra.
In questo campo spicca il caso di Angelo Zanardini (1820-1893), librettista e compositore, che a partire dalla traduzione del Roi de Lahore di Massenet (1878), sottotitolata «versione ritmica» sul frontespizio del libretto e dello spartito, detenne per qualche anno una sorta di monopolio per le opere francesi e tedesche date in Italia. La locuzione ‘versione ritmica’ riflette bensì un ideale nuovo di fedeltà: ma a quale ritmo, potremmo chiederci? quello accentuale del verso o quello, concorrenziale, delle note musicali?
Fino all’unità d’Italia quasi tutte le traduzioni, realizzate da letterati non musicisti, non erano rigorosamente calibrate sul ritmo del testo originale: rispondevano infatti a convenzioni poetiche italiane che prevedevano una accentazione più rigida e l’obbligatoria isoritmia delle strofe liriche. L’adeguamento alla partitura – realizzato in un secondo momento – poggiava sia su ritocchi del dettato musicale e occasionali forzature prosodiche (sineresi, dieresi, dialefi), sia su emendamenti del testo che non necessariamente confluivano poi nel libretto a stampa.
Nell’esaminare le traduzioni non si può quindi prescindere dalla loro doppia veste, letteraria e musicale, né dai rapporti genealogici che tra di esse intercorrono, identificabili tramite indizi di derivazione di vario genere. Su queste basi mostrerò come la pratica di Zanardini venne a coronare un’evoluzione metodologica innescata dalle convenzioni italo-francesi sulla proprietà letteraria e artistica del 1862 (che costrinsero gli editori francesi a pubblicare gli spartiti tradotti delle opere nuove per garantirsene la proprietà anche in Italia) e a sancire la preminenza e la priorità della traduzione musicale.