Ferruccio Tammaro

La funzione della musica nel teatro d’opera

 

I percorsi metodologici utili a favorire la comprensione e l’apprezzamento dell’opera lirica devono tener presente l’inevitabile confronto/scontro con le realtà visive e mediatiche che dominano attualmente la vita dei bambini, degli adolescenti e degli adulti. Tutti noi sappiamo che cinema e televisione ci hanno da tempo abituati a percepire la realtà “rappresentata” con scansioni temporali e con modalità ben diverse da quelle necessarie per fruire l’opera. Da qui le strategie che è necessario mettere in atto per far capire le, per noi ovvie, differenze che intercorrono. Nel contempo la comprensione e l’apprezzamento dello spettacolo operistico vengono a scontrarsi anche col teatro di parola, in rapporto al quale il teatro melodrammatico ha, anche qui, più diversità che affinità.

È pertanto la correlazione con queste realtà che deve essere studiata con attenzione, onde evitare che film, teatro di parola e opera vengano confusi ed equiparati nella fruizione e nel giudizio.

Per evidenziare le peculiarità del teatro d’opera e per facilitarne l’apprezzamento è necessario concentrare l’attenzione soprattutto sull’irrealtà che domina la sua natura; un’irrealtà che appare ancora più chiara se si tracciano appunto confronti con i mondi paralleli del teatro di parola e del cinema.

Invero molte trame operistiche sono palesemente fantastiche e sovente, basti pensare alla cartapesta dei Nibelunghi, hanno una chiara valenza metaforica. Spesso poi anche quelle apertamente realistiche possono talvolta apparire più allegorie che vicende concrete; come ci fanno capire ad esempio alcuni dei tanti travestimenti e dei tanti scambi di persona utilizzati come veri e propri motori dell’azione: il fatto che Dorabella e Fiordiligi non si accorgano che i due spasimanti “albanesi” siano pur sempre Ferrando e Guglielmo fa torto all’intelligenza loro e del pubblico.

Ma, si dirà, pure il cinema, quello in particolare di genere fantascientifico e fantasy, mette in scena vicende irreali, talvolta interpretabili anch’esse come metafore: tuttavia la differenza sostanziale sta riposta nel fatto che il cinema cerca di far sembrare reale questo irreale; il virtuosismo degli effetti speciali è volto proprio a far credere allo spettatore di trovarsi dentro lo schermo, in mezzo a vicende plausibili e concrete, realmente avvenute e quasi fisicamente “presenti”. L’opera invece dà già per scontato l’irreale, non si sforza di “ingannare” lo spettatore, ma parte senza problemi dal presupposto che tutto sia una finzione.

Non solo: questa finzione è presente anche in quelle opere che rifuggono da qualunque intromissione fantastica e che preferiscono rispecchiare la realtà (dei sentimenti e dei fatti) con o senza idealizzazioni: ad esempio da Carmen ed Evgenij Onegin al teatro verista. Perché lo spettacolo operistico è irreale non solo (o non tanto) per la trama che possiede, quanto per la presenza della musica che, sia essa a pezzi chiusi, durchkomponiert o alternata con dialoghi (come nel caso del Singspiel e dell’opéra-comique), domina sempre e comunque l’azione. Nel film invece la colonna sonora, quando c’è, è quasi sempre di sfondo, sia che abbia funzione diegetica oppure extradiegetica. Lo stesso vale per le musiche di scena nel teatro di parola. Non mancano d’altro canto registi che hanno estromesso del tutto la musica dai loro lavori cinematografici (Alfred Hitchcock negli Uccelli, ad esempio). Sono dunque rari i casi in cui è la colonna sonora ad imporre il proprio ritmo e la propria scansione temporale (si può citare 2001: odissea nello spazio di Stanley Kubrick, in cui il regista, proprio per questo, si è avvalso di musica d’arte). In secondo luogo l’opera è irreale perché i personaggi, proprio per la presenza della musica, non solo recitano ma cantano. E questo deve farci tener presente che il problema già sollevato nel passato da tanti detrattori dell’opera come Saint-Évremond oggi non è affatto sopito né risolto, ma anzi esasperato proprio dalla presenza delle nuove realtà mediatiche che permeano la nostra vita.

Certamente anche il teatro di parola è una finzione; ma proprio per la sostanziale assenza della musica quanto in esso avviene si dipana con tempi e modi assai simili alla comune realtà, tolti casi volutamente eccezionali. E anche i lavori che fanno apertamente a meno delle unità pseudo-aristoteliche (di tempo, di luogo, d’azione), anche quelli che fanno uscire in scena divinità ex machina o esseri fantastici, risultano pur sempre più plausibili dell’opera in musica. Perché nel campo dell’opera, prima ancora del conflitto tra vero e verosimile o tra artificio e naturalezza, entra in gioco l’interrelazione fra musica ed espressione. La necessità che lo spettatore teatrale sia consapevole di trovarsi di fronte ad una rappresentazione (necessità notoriamente perorata dalla brechtiana teoria dello straniamento), e parimenti la pirandelliana tendenza ad esasperare l’umana difficoltà di discriminare la realtà dalla finzione, sono ad esempio due espliciti segni che anche nel teatro di parola questo problema è stato sì avvertito, ma mai sistematicamente affrontato, in quanto – potremmo dire – frutto di una scelta estetica particolare, valida come tante altre, diverse e contrapposte (si pensi ad Antonin Artaud, Peter Brook, Jerzy Grotowski, al Living Theatre, ecc.). Nel teatro d’opera invece questi stessi problemi sono sempre stati impliciti e sempre vincolanti, perché in esso l’interprete si esprime in un modo sostanzialmente (e apparentemente) “innaturale”.

Ecco pertanto una serie di aspetti che discendono da questi presupposti generali.

Prerogative Suggerimenti esemplificativi
(1) Grazie alla musica il teatro d’opera ha un’elasticità temporale che né il teatro di parola né il cinema possono avere. Vero è che il regista cinematografico può non solo servirsi del ralenti (Sam Peckinpah), ma può allungare o accorciare una data azione adeguandosi o meno al tempo reale della vicenda che sta riprendendo (Quentin Tarantino): far indugiare la macchina da presa su alcuni particolari, seguire le azioni pur minute e quotidiane di un attore o viceversa comprimerle e sottintenderle nello spazio di poche inquadrature sono mezzi utili a dare un certo tempo e un certo ritmo al film. Ma l’opera applica queste dilatazioni e queste contrazioni in modo sistematico. Si pensi alla contrapposizione Racine/Shakespeare in Stendhal oppure a quanto scriveva Debussy a proposito del teatro di Wagner: «La musique a un rythme dont la force secrète dirige le développement; les mouvements de l’âme en ont un autre plus istinctivement général et soumis à des multiples événements» (Monsieur Croche, 1971, p. 41). L’esempio principe è il duetto d’amore nel Tristano e Isotta (atto II), dove la sospensione del tempo, sinonimo dell’immersione nell’infinito della notte cui i due amanti aspirano, è prodotta esclusivamente dalla musica, in particolare dalla sua smarrente catena di modulazioni che si impastano l’una nell’altra.
Si possono poi cercare esempi anche in lavori ove tempo reale e tempo psicologico (dell’azione rappresentata) si trovano alternati (La forza del destino) o addirittura sovrapposti (Finale I del Don Giovanni, finale ultimo del Ballo in maschera).
(2) Questo scollamento fra tempo reale e tempo psicologico (dell’azione rappresentata) fa sì che la musica non si limiti a descrivere l’azione, ma descriva soprattutto i sentimenti ovvero l’atmosfera emozionale che quell’azione suscita e fa vivere nei personaggi. In altre parole la musica ha un suo tempo, che la parola recitata non ha.
Questa peculiarità risulta particolarmente evidente in almeno tre casi:
(2a) il discorso musicale può amplificare lo stupore, la sorpresa, l’incertezza, lo smarrimento, il senso d’attesa di uno o più personaggi allargando a piacere lo spazio temporale;

(2b) questo allargamento può risultare ancora più manifesto e “innaturale” se il momento drammatico richiede invece in quel punto urgenza e determinazione;

(2c) il rallentamento risulta parimenti efficace quando viene contrapposto a opposti momenti di accelerazione.
 
 
 
(2a) La cenerentola, Sestetto «Questo è un nodo avviluppato».

(2b) Il barbiere di Siviglia, Terzetto «Ah! Qual colpo inaspettato!» (da confrontare eventualmente con l’episodio analogo nella Entführung mozartiana).

(2c) Il barbiere di Siviglia: Concertato nel Finale atto I.
(3) La musica può sì dilatare un solo sentimento, ma può anche sottolineare ed esasperare il tramutare di più sentimenti raccolti in un solo momento nell’animo di un solo personaggio. Li unifica e nello stesso tempo li contrappone, li rende complementari. La traviata: «È strano, è strano».
Rigoletto: «Pari siamo».
(4) L’uso ciclico di un tema può sollevare rimembranze di avvenimenti passati e legare quindi la vicenda in un gioco emotivo di vicendevoli suggestioni. E questo senza che il testo lo dica espressamente. La musica cioè è in grado di stendere una sua trama psicologica al di sotto della trama dei dialoghi e far sì che passato e futuro si trovino fusi in un continuo presente. Rigoletto: «Quel vecchio maledivami».
In generale, i Leitmotive wagneriani, facendo magari notare la differenza fra quei temi con funzione eminentemente connotativa e quelli invece di carattere più evocativo. Ad esempio, da un lato si possono presentare vari punti in cui appare il “tema di Sigfrido”, che viene già enunciato da Brunilde quando l’eroe è ancora nel grembo di Sieglinde («den hehrsten Helden der Welt | hegst du, o Weib, | im schirmenden Schoß!») e viene quindi richiamato ogni volta che si fa riferimento allo stesso eroe (è «il personaggio che canta il proprio biglietto da visita» deriso da Debussy). Dall’altro si possono invece presentare ad esempio i vari momenti del “tema del Destino”, che appare ad annunciare la morte che attende Siegmund («Ich bin’s, der bald du folgst», La Valchiria, II, iv) e riappare in tanti altri punti, diversi, anche se tutti legati dal comune denominatore del “fato”.
(5) Canto simultaneo di più personaggi. Prerogativa che consente di differenziare il discorso su diversi piani compresenti e può quindi sovrapporre le stesse o diverse (addirittura opposte) emozioni dei personaggi; cosa che il teatro di parola non può permettersi se non in alcune, particolarissime eccezioni (ad esempio nel “monologo multiplo” del teatro dada) e che il cinema può proporre solo visivamente, magari con veloci cambiamenti e sovrapposizioni d’inquadrature e col gioco delle dissolvenze incrociate.
Si possono avere varie combinazioni. I personaggi hanno:
(5a) gli stessi sentimenti e la stessa musica;
(5b) sentimenti opposti e linee melodiche diverse, utili a definire l’animo di ciascun personaggio antitetico a quello degli altri;
(5c) sentimenti opposti, ma con le stesse linee melodiche.
 
(5a) Le nozze di Figaro, Duettino «Via, resti servita». Stessa melodia per Susanna e Marcellina, in quanto entrambe, pur contrapponendosi, sono animate dallo stesso spirito di rivalsa; esse in pratica si combattono con le stesse armi.
(5b) Rigoletto, Quartetto «Bella figlia dell’amore».
Il trovatore, scena del “Miserere” (piani emotivi e spaziali nettamente diversi).
(5c) Situazione tipica di tanti pezzi d’assieme; ad esempio nel finale del Sestetto «Alla bella Despinetta» in Così fan tutte, ove allo sdegno di Dorabella e Fiordiligi offese per l’intrusione dei due “sconosciuti” si contrappone da un lato la gioia dei due fidanzati, soddisfatti per la fedeltà dimostrata dalle loro amanti, dall’altro la preoccupazione di Don Alfonso e Despina che, sempre di fronte alla salda opposizione delle due donne, temono di non vedere realizzati i loro piani.
(6) Adozione degli “a parte” e del canto “fra sé”, che in realtà è perfettamente udibile anche da quei personaggi che non dovrebbero sentire. Diversi e invero particolari sono i casi del monologo interiore (O’Neill, Strange Intelude) e dello “stream of consciousness” del teatro di parola novecentesco. Don Giovanni: Duetto Don Giovanni/Zerlina. La ragazza canta intimorita “fra sé” ed accresce in tal modo lo slancio volitivo del protagonista, che nella sua opera di seduzione non vuole né sa ascoltare le ragioni altrui.
Don Giovanni, Serenata di Don Giovanni/Leporello a Donna Elvira: il Terzetto si trasforma in un ideale Duetto, visto che Leporello, a cui Don Giovanni dà abiti e voce, canta solo “fra sé”.
Nel Quartetto del Fidelio «Mir ist so wunderbar” ciascuno dei personaggi non dialoga con gli altri, ma parla semplicemente con sé stesso.
(7) La musica può mutare il significato delle parole e far capire ciò che sta nascosto al di sotto di esse. In altre parole la musica amplifica enormemente ciò che l’attore di prosa può suggerire solo con la semplice intonazione della voce. Don Giovanni: i trilli e le acciaccature che sottolineano il canto di Don Giovanni quando, sorpreso da Masetto a circuire Zerlina, adduce come scusa che «non può, la poverina, | più star senza di te» sono più eloquenti di qualunque tono della voce; sono esse cioè a farci capire la strafottente ipocrisia del protagonista.
Siegfried: i vari interventi di Mime tradiscono falsità non solo per il tono mellifluo con cui in genere l’interprete li canta, ma soprattutto per la condotta strisciante della linea melodica.
(8) La musica è in grado di “eternizzare” uno o più sentimenti: lo scatto d’ira di un personaggio o il suo abbandono estatico al dolore, alla nostalgia o alla felicità hanno una durata psicologica imposta non dall’azione in sé, bensì solo dalla musica, che si prende pertanto lo spazio che vuole e che il compositore ritiene necessario. Con l’azione melodrammatica pertanto la musica rende esplicite le sue sovrane capacità d’introspezione nell’animo dei personaggi. I quali mutano il loro profilo non tanto per ciò che l’attore dice, ma per il modo e la durata con cui lo canta. Si possono confrontare le arie della Contessa delle Nozze di Figaro con «Traurigkeit» di Konstanze della Entführung.
«O, wie will ich triumphieren» di Osmino potrebbe anche essere trattata, in un altro contesto e in bocca ad un altro personaggio, in modo serio, allo stesso modo ad esempio di «Ha, welch ein Augenblick! » di Pizarro.
(9) Rapporto col testo: la qualità letteraria non è essenziale come nel teatro di parola, lo è invece la funzionalità drammaturgica. Conflitto storico fra “musica” e “orazione”: da Monteverdi al Metastasio, tutto proteso ad auspicare (invano!) che la musica rimanesse «ospite in casa della poesia», sino agli esperimenti dei vari Dargomyžskij e Orff, interessati a privilegiare la scansione del declamato amelodico e astrofico. Rapporto fra versi rimati e ritmicamente regolari e versi sciolti e per questo asimmetrici. Emblematico, fra i tanti, il caso di Puccini che chiede a Illica versi con una metrica tale da potersi conformare all’idea musicale ch’egli ha già in testa. Esempio di testo scadente che tuttavia è drammaturgicamente assai funzionale e che quindi si sposa senza problemi alla musica. Ad esempio molti libretti di Piave hanno un livello letterario non certo eccelso, tuttavia, rispetto agli originali di Hugo, Shakespeare, Dumas, ecc., perfettamente adeguato all’intervento della musica.

Esempio di testo che impone alla musica la sua scansione: Orff, Antigone, ‘Commòs’ di Antigone (II, vii), «Seht, ihr des Vaterlandes Bürger»
(10) La musica può esprimere un sentimento, ma nello stesso tempo può anche farcelo osservare dal di fuori, con ironico distacco; può addirittura prendere in giro il personaggio. La rabbia dei personaggi del mondo buffo non fa paura a nessuno: grazie alla musica, Uberto nella Serva padrona finisce col canzonare solo sé stesso («Sempre in contrasti»), così come in seguito farà, ad esempio, Don Magnifico della Cenerentola.
La musica di «Aprite un po’ quegli occhi» (Le nozze di Figaro, n. 26) sottolinea bene la rabbia di Figaro che si crede tradito, e ce la fa apparire profondamente vera. Nello stesso tempo però essa ci fa anche capire che la realtà non è per lui così drammatica, e quasi si prende gioco del personaggio e della sua “inutile” disperazione. Può essere a tal proposito opportuno operare un confronto con «Donne mie, la fate a tanti» in Così fan tutte (n. 26): il contenuto è identico, ma a cantare l’aria non è l’uomo tradito (sul serio), bensì il suo amico Guglielmo, che non è stato ancora scottato dall’infedeltà della sua ragazza e che proprio per questo può ancora mantenere un tono più distaccato e didascalico.

Rimane da aggiungere che, per dare maggiore compiutezza a questa disamina ed evitare un’eccessiva frammentazione, bisognerebbe guardare non solo ai singoli momenti dell’opera, ma anche alla loro concatenazione drammaturgica. Perché anche in tale concatenazione, come sappiamo, la musica interviene con le sue leggi e le sue peculiarità.

Quest’intervento aspira solo a suggerire qualche spunto pratico, utile a dare maggior consapevolezza all’ascolto. Esso è ovviamente “aperto a tutti quanti”; invito pertanto chi lo desidera a discutere, ampliare, sfoltire o cassare queste mie proposte.