Isotta Stefania Domitilla Bonvino
Federica Forte
Mario Filippo Gaeta
Aldo Sorrentino
(CdLM in “Discipline della Musica e del Teatro”)
Il progetto “Le Stagioni della Legalità” è stato ideato durante il corso di “Riti e Performatività Giuridiche nell’Era Digitale”, nella prospettiva secondo cui i riti della legalità, le culture of lawfulness, sono da intendersi in connessione con la dimensione dello spazio, sia fisico che virtuale. Le riflessioni sottese alla ideazione del progetto si sono concentrate su cosa sia il significato di legalità e su quali siano i limiti, nonché sui significati impliciti ed espliciti nascosti dietro i luoghi e i riti di questa pratica. I palazzi di giustizia stessi esprimono, attraverso la loro architettura, un proprio linguaggio, anch’esso unico e diverso. Luogo delle regole istituzionalizzanti, lo spazio detta regole sottintese il cui significato è legato al ruolo che il palazzo stesso esercita all’interno della vita quotidiana e non quotidiana del cittadino. La teatralità implicita e rituale che si riscontra in ognuno di questi luoghi ci ha ispirati in fase di ideazione del nostro progetto. L’obiettivo è di rendere esplicita la potenzialità rituale e teatrale di questi spazi, convogliando quindi al loro interno forme artistiche per renderle fruibili alla comunità interna ed esterna del Palazzo di giustizia.
La legalità, quella in cui siamo immersi e che auspichiamo possa essere faro di ognuno, è prima di tutto ‘rito’ nella sua accezione più performativa e performante: la ritualità della legalità, in un ripetersi e rinnovarsi, appunto, infinito. In quest’ottica innovativa di visione e considerazione del tema – per molto tempo nascosta dalla distanza creatasi tra istituzioni, spazi della legalità e collettività – s’inserisce ciò che di più performante e rituale possa esistere: la cultura. Proprio come la legalità, i linguaggi e le forme plurime della cultura ci appartengono e sono di tutti, sebbene in alcuni periodi e contesti storico-sociali, proprio come per la legalità, ci si è da essi allontanati. Se molti saperi ci vengono in aiuto, i punti cardinali a cui ci affidiamo sono le arti. D’altronde occorre considerare che la legalità e la sua cultura hanno a che vedere con le regole. Per poterle immaginare, queste regole, occorre, appunto, immaginazione. Questo è vero soprattutto laddove di legalità c’è molto bisogno. Si richiede immaginazione per immaginare un mondo migliore, non quello che esiste e in cui si vive. Allora, ecco, che c’è bisogno delle arti. Cultura nel senso ampio della nostra storia, in quanto una cosa sono le regole scritte, formalizzate, e una cosa è il significato e il senso che insieme possiamo costruire a partire da simboli e riti – una grammatica sociale condivisa – su cui innestare un percorso di animazione della cultura della legalità. E allora, nuovi e vecchi linguaggi si intersecano con il rito della legalità che ci appartiene. Collettività, appartenenza, appropriatezza e partecipazione: concetti che riguardano e inglobano trasversalmente e in maniera performativa non solo i linguaggi delle arti ma soprattutto una ritualità di cui la legalità è intrisa. Se questi sono i presupposti, in un contesto in cui ciò che conta è il processo, il percorso prima che il risultato, il progetto “Le Stagioni della Legalità” vuole inserirsi proprio come capostipite di un discorso che tende ad un obiettivo: coinvolgere, ri-portare alla e nella collettività sociale ciò che a questa appartiene, ma che spesso, erroneamente, viene sentito come qualcosa di separato e a sé stante.
La performance viene proposta in due cornici diverse, una all’interno dei Palazzi di giustizia e una all’esterno, con lo scopo di mettere a confronto i risultati ottenuti nei due ambienti e mettere in dialogo due comunità, quella dei professionisti del diritto e quella dei cittadini. L’evento sarebbe strutturato tramite un’ideale divisione in quattro nuclei tematici, nominati come le quattro stagioni, a cui viene assegnata una specifica forma artistica.
All’inverno corrisponde la danza. La prima forma d’arte con cui il pubblico entra in contatto sarebbe una coreografia di danza contemporanea sviluppata e ripresa senza la presenza di un pubblico, nello spazio del cortile del tribunale civile di Bologna in via Farini 1, e poi proiettata nel corso degli eventi. La struttura coreografica sarebbe caratterizzata dalla presenza di due gruppi in continua comunicazione e scambio che si alternano fra il piazzale e la terrazza presenti nel cortile del tribunale. La coreografia è stata immaginata con prevalenza di movimenti circolari, che simboleggiano il movimento ininterrotto che lega l’uomo alla comunità, e con abiti bianchi che richiamano il colore della neve in inverno e la purezza dei gesti della legalità.
Alla primavera facciamo corrispondere la musica. L’accompagnamento musicale sia della coreografia che della performance nel suo complesso verrebbe affidato alle “Quattro Stagioni” di Vivaldi. Questi concerti, caratterizzati dall’alternanza di ritmi e da una prominente vocazione al racconto, sono ideali per rappresentare le diverse anime che vivono dietro le azioni di legalità. La capacità generativa di creare un effetto di rituale intrinseca di questi concerti vive anche attraverso la ripetizione di simbologie e figure musicali; allo stesso modo, la ciclicità e la ripetitività degli eventi all’interno dei palazzi di giustizia, generano una ritualità che vive nella presenza di procedure ripetute. Come per le quattro stagioni, queste si ripropongono in maniera identica ma al contempo unica.
La forma artistica legata all’estate è la poesia. All’interno di questa performance, proponiamo di esporre testi tratti da opere teatrali che portano in scena le tematiche della legalità e dei processi. Al termine del percorso performativo, chiederemmo agli spettatori di scrivere su un quaderno un pensiero o una parola che, per loro, rappresenti il concetto di legalità.
Infine, all’autunno corrisponde la fotografia. Per quest’ ambito artistico, proponiamo di diffondere una call aperta sulla tematica della legalità fra professionisti del diritto esterni ai palazzi di giustizia di Bologna. Una volta raccolte, le foto verrebbero disposte in modo tale da creare un racconto per immagini. Ci proponiamo, inoltre, di rendere il pubblico partecipante attivo della performance; gli chiederemmo di scegliere, tramite l’apposizione di un adesivo fornito da noi, quale sia l’immagine che meglio simboleggia la legalità. Una volta che si saranno svolte entrambe le iterazioni dell’evento, si proporrà di confrontare i dati raccolti attraverso le scelte e le reazioni del pubblico. Questo ci consentirebbe di confrontare il modo in cui la “legalità” viene vissuta e interpretata dalle due comunità coinvolte nel progetto, nonché di inquadrarla come fatto umano trasversale che travalica gli spazi funzionali.
Negli ultimi anni i Palazzi di Giustizia hanno iniziato ad accogliere ricercatori e borsisti mostrando, dunque, un’apertura verso l’esterno. Questo progetto si pone in una prospettiva di apertura istituzionale, ponendosi come obiettivo di promuoverla anche nei confronti dei cittadini e delle comunità esterne ai palazzi e alle università. C’è una ragione culturale forte nell’inquadrare un percorso sulla legalità all’interno di un ambito di formazione e di creazione, che coniuga linguaggi performativi diversi, fra cui anche quello della parola del diritto. Questa viene fatta interagire con altre grammatiche, l’immagine, la poesia, la cinematografia, la danza, la teatralità. Tali grammatiche appaiono come sfaccettature diverse di un prisma, offrono una metaforica rappresentazione della cultura delle regole, e definiscono il perimetro dell’agire legittimo. Ossia, l’agire accettabile secondo ogni grammatica. Sapere agire, avendo un orientamento verso la normatività, è necessario perché cittadini e cittadine, nei loro diversi contesti di vita, si impadroniscano della capacità – nel senso aristotelico – di agire nello spazio regolato dal contratto sociale e dal rispetto delle persone. Così nasce il percorso di creazione dell’atelier dedicato ai riti e ai ritmi della legalità. Quattro sguardi, quattro grammatiche, quattro stagioni, quattro ritmi legati da un unico fil rouge, da un’idea di fondo: c’è qualcosa che unisce tutto ciò che accade e si celebra negli spazi della giustizia e nella società civile.