Laura Bigoni (LM in Discipline della Musica e del Teatro)
“Curioso progetto: sognarsi, rendere percettibile un sogno che ridiventerà sogno, in altre teste!”
Jean Genet, Il funambolo
Il presente progetto nasce nell’ambito del Laboratorio condotto dalla professoressa Daniela Piana all’interno del corso di Laurea Magistrale in Discipline della Musica e del Teatro dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna: si prefigge il compito di immaginare un possibile utilizzo per due spazi interni al tribunale di Bologna, nella sua sede di Via D’Azeglio 54. Gli spazi, di cui si allega una piccola documentazione fotografica, sono attualmente adibiti al solo passaggio degli/delle utenti del tribunale, ma si prestano, per le loro centralità e bellezza, a divenire teatro di un percorso di scoperta e di riflessione che possa riguardare tutta la cittadinanza. Il progetto vuole essere inclusivo e rappresentare un’occasione per esperire, sotto l’egida dell’arte, della partecipazione e della co-costruzione, il tribunale in una modalità diversa da quella tradizionale. Lo scopo del progetto è in particolare la strutturazione di un percorso di educazione alla legalità che si possa svolgere direttamente negli spazi del tribunale, dove tradizionalmente la legge è presente nella sua “ultima fase”, ovvero il processo. All’inquadramento teorico segue qui una proposta pratica attuativa.
Riflessione
La riflessione da cui nasce il progetto si basa sul rapporto tra diritto, istituzioni e singoli. Tralasciando ogni questione filosofica su cosa sia la legge, da cittadini e cittadine ci si chiede come essa ci serva, come viva con noi e per noi. Per non cadere nella massima, di ciceroniana memoria, del summum ius summa iniuria occorre infatti appropriarsi di una cultura della legalità, che è impresa ben più ardua (ma anche ben più remunerativa) rispetto alla semplice diffusione di un’educazione civica. Se alla base del diritto occidentale moderno c’è l’individuo considerato in tutte le sue specificità, allo stesso tempo la legge nasce per favorire, ma si può dire anche permettere, la convivenza tra individui in una società. Perché la legge non resti confinata nelle carte e negli uffici, in (non) luoghi chiusi e immobili, è necessario che i singoli si attivino in prima persona per vivere secondo le leggi, assumendosi la responsabilità di rispettarle, oltre ad eventualmente modificarle affinché siano utili al progredire della società comune. È importante creare attivamente una cultura diffusa della legalità, che renda i cittadini e le cittadine consapevoli della propria responsabilità nel costruire un ambiente aperto e rispettoso dell’alterità. La legalità si può dunque considerare una vera e propria cultura, nel doppio senso di qualcosa che va coltivato nel tempo, perché cresca e si rafforzi, e nello spazio, nel vissuto delle persone.
Come diffondere allora una cultura della legalità? È chiaro che questa ambizione non si può soddisfare agendo esclusivamente dall’alto, in una mera spinta regolamentatrice, che rischia semplicemente di deresponsabilizzare le cittadine e i cittadini. Ogni cultura nasce da un’educazione e da un continuo impegno reciproco verso la costruzione di una comunità di intenti prima che di comportamenti. Dal punto di vista metodologico, sembra importante il ruolo dell’esperienza della legalità, accanto a quello dell’accesso a una conoscenza teorica delle questioni che la riguardano. L’esperienza risulta fondamentale perché radica delle impressioni direttamente nel tessuto sociale e permette allo stesso tempo la sostenibilità e la significatività della vita collettiva. In questo senso, assumono molta importanza gli spazi condivisi, ossia quelli in cui si può creare o almeno tentare di incentivare la consapevolezza concreta del ruolo di ciascun individuo nella costruzione del benessere comune. Lo spazio di cui si occupa il progetto è intrinsecamente connotato, in quanto si trova all’interno del tribunale, ovvero di un luogo dedicato all’amministrazione della giustizia, alla garanzia della legalità. È inevitabile che si tratti di un luogo istituzionale e istituzionalizzato, con una propria ritualità ben precisa e con un flusso di utenti controllato e direzionale. Perché aprire alla cittadinanza le porte del tribunale al di fuori dei suoi usi e competenze tradizionali? E in caso, come agire in modo da non interferire con le attività ordinarie? Nella prospettiva del progetto, si pensa il tribunale come spazio pubblico, che quindi di per sé può partecipare alla (e farsi promotore attivo della) diffusione di una cultura condivisa e inclusiva della legalità, del rispetto per l’altro e della valorizzazione delle differenze. Questo processo, una volta attivato proprio all’interno degli spazi del tribunale, potrebbe innescare un rinnovato rapporto di fiducia con le istituzioni che della legalità e del rispetto si fanno quotidianamente garanti. Se il cittadino e la cittadina hanno la possibilità di entrare in tribunale non solo per un “ordinario” processo ma anche per uno “straordinario” incontro di riflessione e condivisione, o addirittura per uno spettacolo teatrale o circense, saranno da un lato spinti dalla curiosità verso il nuovo e dall’altro avranno la sensazione di trovarsi all’interno di un evento culturale di cui sono attori, oltre che spettatori. In questo modo uno spazio usualmente riservato a sguardi distratti, al passaggio frettoloso, con mente e attenzione rivolte esclusivamente all’attività giudiziaria, all’immanenza delle controversie e magari all’ansia dovuta alla propria situazione, diventa un luogo in cui soffermarsi, per ammirare la bellezza di un’installazione artistica o forse addirittura per riuscire a esprimere la propria voce. La modalità artistica che appare più pertinente a un progetto del genere è quella dell’arte di convergenza, una sorta di meticciato artistico in cui vari linguaggi si mescolano e contribuiscono a creare un’atmosfera non quotidiana. La visione delle arti come sorelle che si intrecciano per creare un ambiente non è nuova; in particolare si prende qui come riferimento l’attività teatrale dei Cantieri Meticci, collettivo del quale chi scrive fa parte da due anni, ma che da sempre si prefigge lo scopo di ispirare meccanismi culturali variegati in grado di reagire alla naturale eterogeneità del mondo. Nella filosofia dei Cantieri, che sembra appropriata per una progettualità di questo tipo, il teatro è sociale in quanto esce dai suoi luoghi deputati e si diffonde nella città, tra le persone; è sociale in quanto accoglie e rende possibile la partecipazione anche a chi sembra solo di passaggio; è sociale in quanto permette di non perdere di vista il livello artistico e la complessità del fatto letterario e/o artistico inteso come specchio del fatto politico.
Progettualità
I cortili interni della sede di via D’Azeglio 54 danno occasione per un ripensamento dei rapporti di fruizione dello spazio. Il chiostro chiamato A è il primo a cui si accede attraverso la porta d’ingresso della sezione ed è uno spazio ampio, racchiuso su tutti i lati da un elegante porticato. Il chiostro definito B si apre invece a lato del primo e presenta un andamento più teatrale, perché l’ingresso è obbligato da una specifica prospettiva, in modo tale che lo sfondo di grandi finestre ispiri la possibilità di un fondale scenico. Questo secondo spazio sembra dunque possedere un potenziale scenico maggiore del primo, che a sua volta sembra invece adatto all’esposizione di istallazioni artistiche. Se le aule del tribunale sono necessariamente organizzate secondo un principio di gerarchizzazione, il cortile A offre lo spunto per una ridistribuzione e una collettivizzazione dello spazio e dei poteri. Questo punto è fondamentale nel momento in cui si cerca di mettere in atto pratiche educative partecipative, in cui il ruolo del cerchio nello spazio condiviso è cruciale. In questa metodologia laboratoriale, l’oggetto artistico (testo, quadro, statua, musica etc.) è posto al centro di un cerchio di riflessione collettiva in cui tutte le voci hanno lo stesso valore. Il percorso proposto nella seconda parte del nostro progetto intende offrire un possibile canale che consenta all’arte di insinuarsi nel quotidiano, rendendolo straordinario. Un luogo di ordinaria amministrazione, di routine e di impazienze, di attese spesso logoranti può divenire teatro, luogo che si guarda, ma in cui ci si lascia anche guardare. Un luogo di scambio e di frontiera. Un luogo di creazione di conoscenza.
Proposta attuativa: Le stagioni della legalità
La suggestione delle quattro stagioni nasce dalla corrispondenza tra il ciclo del teatro di impostazione classica e quello della natura. È una suddivisione di comodo, ma che parla alla nostra sensibilità più profonda. La proposta prende le mosse da quattro archetipi, uno per ogni stagione dell’anno. Gli archetipi hanno la forza trainante del mito, da cui tutto può originarsi. Sentir raccontare una storia e viverla sotto l’incantesimo dell’arte genera prese di coscienza incommensurabili, di grande valore. In questo senso l’archetipo funziona in una doppia direzione, perché da un lato crea identità e dall’altro presenta un’alterità; da un lato si fa fondamento di una riflessione sul moderno e dall’altro ne è letteralmente antagonista. In questa forza dell’archetipo si fondano le tematiche che si sceglie di affrontare nel percorso di educazione alla legalità, che operativamente si articola come segue: ogni stagione prevede una serie di eventi calendarizzati a cadenze diverse, pensati per pubblici di volta in volta stratificati. Per ottenere la stagione occorrerà una pianificazione molto puntuale, in modo che esista un target privilegiato di riferimento per ciascun evento, ma che questo focus non impedisca la fruizione dell’evento stesso da parte di altre fasce di pubblico. In questo senso il pubblico si stratifica nella fruizione della stagione e per ogni tassello non si lascia indietro nessuno.
Le tipologie di evento esplorabili sono le seguenti:
- Giornata della Legge: esplorazione condivisa – e guidata dagli addetti e dalle addette del tribunale – dei testi fondativi della legge italiana, a partire dai principi della Costituzione che di volta in volta possano sostenere la riflessione sull’archetipo, sulla vicenda ad esso legata e sul suo sviluppo (luogo deputato: chiostro B).
- Circolo di lettura: lettura condivisa ad alta voce in cerchio di opere che riguardano l’archetipo da più punti di vista; con questo evento si crea un senso di collegialità e condivisione in cui si esperisce che il testo appartiene a tutti e tutte (chiostro A).
- Introduzione alla drammaturgia sul tema dell’archetipo: laboratorio di imitazione dei testi, alla ricerca di ciò che l’archetipo fa risuonare in ognuno dei partecipanti, con possibilità di produrre testi scritti e/o improvvisazioni libere (chiostro A).
- Installazione artistica temporanea: serie di opere d’arte figurativa da inserire nella quotidianità dello spazio, per cambiarlo e permettere di ingannare le attese ricevendo stimoli di bellezza. L’istallazione rimane sul posto per tutta la durata della stagione ed è quindi pensata anche e soprattutto per chi lavora nello spazio del tribunale (chiostro A, in particolare lungo il porticato, compatibilmente con l’ingresso alle aule).
- Percorso per le scuole: visita all’installazione, laboratori di supporto alla didattica dell’educazione civica, ma anche della letteratura, della storia, dell’arte, della musica etc. (chiostro A).
- Teatro: almeno una rappresentazione conclusiva della stagione, a fronte dell’interpretazione particolare dell’archetipo da parte di compagnie locali o meno (chiostro B).
- Discussione: creazione di uno spazio di discussione, eventi in cui si possa stare seduti in ascolto, adatti alla comprensione ragionata, come conferenze, tavole rotonde, presentazioni di libri, concerti etc. (chiostro B).
La proposta di quattro archetipi per un eventuale primo anno del ciclo è la seguente: Sisifo, Antigone, Rut, Lucrezia. Questi personaggi permettono altrettante riflessioni ad ampio raggio sulla giustizia e su quello che essa rappresenta per l’uomo. Gli archetipi vanno oltre il tempo, ma naturalmente non sono neutri, bensì necessitano di argomentazioni sempre nuove, alla luce della concezione attuale, del mondo vigente, e di quella che si immagina. L’arte inventa e non usa mai una materia passivamente. L’arte qui è motrice, di attivazione di uno spazio, ma anche di immaginazione attivata dallo spazio stesso. In questo senso mi limito a proporre delle figure simbolicamente nude, pronte a essere riempite di significato attraverso le voci nate dal confronto; i materiali riportati di seguito sono da intendersi come un puro schizzo indicativo, un abbozzo individuale di qualcosa che aspira a essere collettivo.
I STAGIONE: SISIFO
Il mito di Sisifo, personaggio costretto a trascinare una pietra in cima a un monte per l’eternità, invita a riflettere sui concetti di colpa e punizione. Se nella storia il mito è stato a più riprese citato per simboleggiare la vanità (si pensi al celebre Il mito di Sisifo di Albert Camus), non sembra ozioso consegnare l’archetipo anche alla riflessione giuridica. L’inutilità della pena di Sisifo (e in parte la vanità delle accuse rivoltegli, che riguardano soprattutto l’audacia del re e la sua spregiudicatezza) possono stimolare una riflessione su come la punizione debba essere fonte di un reinserimento nella società, piuttosto che mera rivendicazione del potere dello Stato. In questo senso si possono stimolare i/le partecipanti alla stagione sui temi della pena detentiva, dell’ergastolo, della giusta distribuzione dei detenuti e delle detenute nelle carceri, come anche delle loro condizioni di vita.
II STAGIONE: ANTIGONE
Paladina per secoli della coscienza individuale che si scontra con una legge rigida e impersonale, Antigone rappresenta l’archetipo della cittadina che agisce secondo quanto ritiene giusto, al di là delle regole di uno Stato che ritiene illegittimo. Naturalmente la profondità del testo sofocleo, nostra principale fonte sul tema, lascia aperte infinite possibilità di riflessione, che sembrano adattarsi perfettamente al tema della legalità come esperienza da interiorizzare e non come serie di norme calate dall’alto. I temi della scelta consapevole, della coscienza individuale, del rapporto tra legge scritta e principi ritenuti portanti dai singoli vengono continuamente alla ribalta per questioni di grande valenza come la bioetica, i diritti civili e il libero e consapevole accesso alle terapie (ma anche alle forme di prevenzione, come di recente è stato il caso del vaccino anticovid19). La tendenza a identificare il bene con il legale e viceversa, senz’altro da incoraggiare, deve comunque essere bilanciata dalla consapevolezza che non esiste una totale sovrapposizione tra questi concetti e che l’assolutezza non è una caratteristica del nostro diritto, che è quindi materia di discussione costante. Il mito di Antigone ha inoltre la forza di rappresentare dei personaggi che prendono su di sé la responsabilità di atti di grande portata, che danno quindi a noi l’occasione per una riflessione “protetta”.
III STAGIONE: RUT
“In pochi qui, alle vostre spiagge arrivammo a nuoto. Che razza di uomini è mai questa? Quale patria permette un uso così barbaro? Ci negano l’asilo della sabbia e ci fanno guerra, ci vietano di soggiornare sulla riva”
Eneide, I, 539-541.
L’archetipo del libro biblico di Rut, insieme a vari passaggi delle letterature greca e latina, offrono la possibilità di riflettere sul ruolo della cittadinanza e sul vastissimo tema dell’accoglienza dello straniero. Rut è una donna moabita, che viene accolta nella comunità di origine del primo marito una volta rimasta vedova. In prima persona si mette in gioco nel viaggio al seguito della suocera, si propone con la sua forza ancestrale nel gesto dello spigolare nei campi e ottiene il riconoscimento di un matrimonio per poter restare nella terra dove è giunta. A partire da questo archetipo si può stabilire una riflessione sull’inclusività del diritto, che è certamente valido per chi ha agio nel definirsi cittadino o cittadina, mentre rimane una categoria astratta per chi non riesce a far parte della comunità. Un caro amico emigrato in Italia dalla Somalia dichiara che “prendendo la cittadinanza italiana mi sono dovuto attrezzare con un nuovo modo di stare al mondo”. Riflettere e discutere su come fornire a tutti e a tutte gli attrezzi per stare (serenamente) al mondo è un’occasione di grande importanza nel nostro tempo.
IV STAGIONE: LUCREZIA
Lucrezia fu la nobildonna che col suo corpo si fece simbolo della nascita della Roma repubblicana, uccidendosi per il disonore di essere stata violata da Sesto Tarquinio, figlio dell’ultimo re della città. La sua storia di resistenza e rifiuto della corruzione l’ha resa immortale in svariate opere d’arte lungo tutta la storia dell’Occidente. La sua vicenda ci offre il destro per sviluppare riflessioni varie: la parità di genere, la violenza sulle donne e più in generale le minoranze, l’educazione alla sessualità e all’intimità, la protezione e la prevenzione della violenza. Temi che trovano una loro ragione d’essere in percorsi di educazione alla cittadinanza e alla consapevolezza del proprio agire sociale.
A conclusione di questo lavoro vorrei aggiungere una breve postilla sull’inclusività, che, come si è visto, è uno dei cardini di tutto il progetto. Nel contesto della città di Bologna insistono numerose associazioni impegnate nel portare avanti temi legati all’inclusione e all’inclusività. Nel momento in cui si decida di aprire uno spazio come quello dei chiostri del tribunale, sarebbe auspicabile confrontarsi con queste realtà, in modo da immaginare possibili scenari di collaborazione. Il potere simbolico dell’apertura di un teatro e/o di uno spazio espositivo interno al tribunale appare inestimabile a chi scrive, per cui auspico che il ricchissimo panorama di associazionismo culturale e attivismo sociale che la nostra città offre venga coinvolto direttamente nell’eventuale realizzazione di questo progetto. Sono consapevole di scrivere in un’epoca strana, quella postpandemica, in cui immaginare eventi in presenza è tanto complesso quanto ambizioso; mi rendo conto anche che ampliare i flussi in un luogo già densamente frequentato sia forse un po’ avventato. Il progetto nasce però con l’auspicio che presto si possa tornare a riabbracciarsi con serenità.
Ringraziamenti
Ringrazio sentitamente la professoressa Daniela Piana, che ha permesso a una studentessa spaesata come me di esporsi con l’immaginazione in un ambiente “straniero” e ha pazientemente atteso gli esiti di questo percorso. La mia riconoscenza va al presidente dell’ufficio G.I.P. di Bologna, dottor Alberto Ziroldi, per avermi consentito di attraversare liberamente gli spazi del tribunale e per aver agevolato tutte le fasi di ideazione di questo progetto. Desidero ringraziare anche il dottor Raffaele Mea, dirigente della Corte di Appello di Salerno, per i suoi preziosi consigli e Vladimir Olivero, dottorando in Filologia ebraica all’Università di Oxford, per l’imbeccata biblica sul libro di Rut. Un ringraziamento particolare va al carissimo Pier Francesco Bresciani, avvocato del foro di Bologna e dottorando in diritto costituzionale all’Alma Mater, che mi ha accompagnato in questo viaggio nel mondo della legge, ma che più in generale mi accompagna nel non facile mestiere di vivere. Grazie infine a Pietro Floridia, regista e maestro, che mi ha insegnato tutto quello che so sul mettersi in cerchio intorno al fuoco dell’arte.
Bibliografia essenziale
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Calzecchi Onesti Rosa (a cura di), Omero. Odissea, Einaudi 2014.
Cartabia Marta – Violante Luciano, Giustizia e mito. Con Edipo, Antigone e Creonte per indagare i dilemmi del diritto continuamente riaffioranti nelle nostre società, Il Mulino 2018.
Camus Albert, Il mito di Sisifo, Bompiani 2019.
Christillin Evelina – Greco Christian, Le memorie del futuro. Musei e ricerca, Einaudi 2021.
Del Corno Dario (a cura di), Sofocle. Edipo re, Edipo a Colono, Antigone, Mondadori 2010.
Dionigi Ivano, Parole che allungano la vita. Pensieri per il nostro tempo, Raffaello Cortina Editore 2020.
Fischer-Lichte Erika, Estetica del performativo. Una teoria del teatro e dell’arte, Carocci Editore 2014.
Genet Jean, Il funambolo e altri scritti, Adelphi 2018.
Gobbi Laura – Zanetti Federica (a cura di), Teatri re-esistenti. Confronti su teatro e cittadinanze, Titivillus 2011.
Nussbaum Martha, La fragilità del bene, Il Mulino 2004.
Piana Daniela, Le istituzioni nella mente. Ancore di legittimità del potere politico, Rubbettino 2005.
Teatro dell’Argine (a cura di), Il Teatro, la Scuola, la Città, il Mondo. Esperienze, riflessioni e strumenti di teatro tra educazione e cittadinanza, Loescher 2016.
Treu Martina, Il teatro antico nel Novecento, Carocci Editore 2016. Wu Ming 2 – Mohamed Antar, Timira. Romanzo meticcio, Einaudi 2012.