in collaborazione col
Dipartimento delle Arti Alma Mater Studiorum — Università di Bologna
Ventitreesimo Colloquio di Musicologia
del «Saggiatore musicale»
Abstracts
MIRCO MICHELON (Parigi)
“L’Affaire du collier” secondo Mannino e Visconti: il processo creativo del “Diavolo in giardino”
Guardando al teatro musicale della seconda metà del Novecento, risulta curioso e altresì interessante un esperimento di novità realizzato nel 1963 dal compositore siciliano, ma romano d’adozione, Franco Mannino (1924-2005): stiamo parlando dell’opera Il diavolo in giardino, su libretto del cognato, il celebre regista Luchino Visconti, che la mette in scena il 28 febbraio dello stesso anno al Teatro Massimo di Palermo. In quest’opera, che presenta in chiave comico-satirico-burlesca la vicenda del celebre Affaire du collier di Maria Antonietta (su ispirazione di Visconti, che per il libretto trae spunto dal volume Le collier de la reine di Alexandre Dumas père), Mannino mette in risalto, più che in altre opere, la sua capacità di sapersi muovere nel vasto mondo del pentagramma, dando alla musica stessa il compito di caratterizzare e rafforzare quello che il libretto ci presenta. Le continue omoritmie presenti già nella prima scena del primo atto del Diavolo in giardino rendono «immagine ciò che è noto», prendendo a prestito il concetto di Johann Abraham Peter Schulz, e rafforzano la capacità dello stesso Mannino di scrivere à la manière de, il quale opera in modo che la musica presenti delle stilizzazioni di stili e di compositori a lui cari, consolidando in tal modo il proseguo della vicenda caratterizzato dal libretto (nel quale riscontriamo varie citazioni di gusto teatrale volute da Visconti, su tutte la presenza di momenti tratti dal Mariage de Figaro di Beaumarchais, testo amato dalla regina di Francia stessa). Non sorprendono richiami all’opera buffa settecentesca, citazioni di canzoni d’epoca come Malbrough s’en va-t-en guerre o Au clair de la lune mon ami Pierrot, elaborazioni musicali à la manière de Wolfgang Amadeus Mozart, Gioachino Rossini, Giacomo Puccini, Arnold Schönberg, Giuseppe Verdi e tanti altri. Parlando di quest’opera, Mannino ha sempre affermato di non ricercare il sinfonismo autonomo, ma di voler usare la musica come “serva” di quel che viene detto, cercando di rendere musica anche quello che propriamente musica non è; così facendo, il compositore fa in modo che la musica diventi elemento rafforzante e coniugante del libretto stesso e gli permette di rafforzare, attraverso le varie elaborazioni proposte, anche l’aspetto psicologico dei personaggi in scena.