in collaborazione col
Dipartimento delle Arti Alma Mater Studiorum — Università di Bologna
Ventitreesimo Colloquio di Musicologia
del «Saggiatore musicale»
Abstracts
LIVIO TICLI (Huddersfield)
Verso la “integrated performance”: Giaches de Wert, Laura Peperara e il virtuoso rinascimentale
I secoli del Rinascimento italiano restituiscono una vivida immagine costituita da musicisti poliedrici capaci di padroneggiare diverse abilità e tecniche performative. Tale fenomeno, a torto non contemplato come categoria storiografica, e invece assai diffuso in ambito cortese, merita un’indagine più approfondita che spazi dalla formazione dell’artista all’esecuzione, dal dibattito fra oralità e scrittura ai contesti e, non da ultimo, approdi ad una valutazione in termini fattivi – e non solo teoretici – delle competenze necessarie per riattualizzare tali prassi. Sono infatti copiose le testimonianze di quelli che oggi, in maniera troppo elusiva, chiameremmo ‘artisti eclettici’ e sono altrettanto numerosi i resoconti che descrivono un’ampia varietà di tecniche performative impiegate simultaneamente in specifici contesti: ad esempio il cantare e allo stesso tempo suonare uno strumento (Bier, 2013), dando una particolare enfasi al testo tramite gestualità e ‘presenza scenica’ (Gualandri, 2001); o ancora, il cantare-suonare-danzare contemporaneamente in scena (Nevile, 1998). Tale mistura di differenti abilità è alle volte chiaramente enunciata nelle fonti musicali indirette, ma più spesso risulta fuggevole e difficilmente rintracciabile nel repertorio, che infatti manca di espliciti suggerimenti per la performance; la stessa lacuna si rileva nei trattati teorico-pratici, che solitamente concentrano i loro precetti su una singola disciplina o una specifica prassi. L’indagine su questo fenomeno copre non solo la formazione musicale di queste figure polimorfiche – combinante in primis maestria vocale, strumentale e coreutica – ma anche il training specifico da loro intrapreso e il modo in cui tali insegnamenti venivano somministrati dagli antichi maestri: un ruolo centrale nella formazione di questo caleidoscopico background era giocato da oralità e memoria (Degl’Innocenti et al., 2016; Lorenzetti, 2018), da formularità e tecniche improvvisative (Canguilhem, 2018, 2007; Schubert, 2012, 2002; Wegman et al., 2015). Sebbene recentemente gli studi musicologici abbiano rivalutato il peso dell’improvvisazione come componente cruciale della tradizione musicale del Rinascimento ma non si riconosca ancora alla performance il giusto grado di complessità (non semplicemente ascrivibile alla somma di singole abilità in gioco), diventa essenziale fare luce su questo percorso formativo ‘integrato’ (Coelho, 1995; Coelho and Polk, 2016; Lorenzetti, 2003) perché si possa giungere oggi ad una performance altrettanto ‘integrata’, così in auge e tenuta in considerazione presso le corti e i circoli intellettuali italiani più importanti dell’epoca. Tale prospettiva non gioverà solo ai musicisti di oggi, che potranno finalmente divenire più consapevoli di specifiche modalità performative e contesti per eseguire/fruire il repertorio, ma permetterà anche di riconsiderare alcuni snodi essenziali per la storia della musica fra cui il concetto di “monodia accompagnata”, che, proprio sul finire del Cinquecento, si associò alla formalizzazione di pratiche e forme musicali cruciali per la musica dei secoli successivi.
Attraverso il case study enunciato nel titolo – condotto alla luce di queste considerazioni e sotto il profilo della prassi esecutiva – il contributo intende fornire una rilettura del concetto di virtuoso del Rinascimento italiano offrendo una nuova metodologia di ricerca che vada ad arricchire la cosiddetta ‘prassi esecutiva storicamente informata’ (Hunter, 2014; Kite-Powell, 2007).